«I nostri pagliacci colorati per il sorriso dei bambini»

L’associazione, nata 20 anni fa, opera dentro la clinica pediatrica del Burlo L’entusiasmo dei volontari: «Dopo una giornata qui torniamo a casa soddisfatti»

Esiste un luogo, alla fine del corridoio del terzo piano, in cui ogni giorno convergono vite vissute, dolori, rassicurazioni. È la sala giochi della Clinica Pediatrica dell’Ospedale Burlo Garofolo di Trieste, un luogo dove può essere facile cadere nel sentimentalismo, che rischia di essere controproducente. Qui, invece, la presenza e il dinamismo delle associazioni di volontariato acquisiscono un grande valore.

Ci accoglie il pediatra Stefano Russian, della dirigenza medica. «La definizione di salute dell’Oms non è più “assenza della malattia” – spiega – ma significa stato di benessere psicofisico, sociale e ambientale. Per questo bisogna creare un ambiente che copra le altre necessità, ma l’infermiere non ha braccia per stare dietro a tutto. Allora subentra il volontariato che non è più fine a se stesso, come poteva essere un tempo, ma è ben strutturato».

Oggi incontriamo una delle realtà solidali che operano all’interno della struttura sanitaria. Roberto Cook è il presidente di Astro – Associazione triestina ospedaliera per il sorriso dei bambini - che è attiva da quasi vent’anni. «Ai nostri volontari diamo una formazione permanente – ci racconta – ce lo richiede il Burlo e ce lo richiede il fatto di essere iscritti al registro del volontariato della regione».

Le attività

Astro, nella sala giochi e nelle corsie di alcuni reparti, propone diverse attività. Ha in dotazione una tv, un lettore dvd e dei videogiochi. Ma possiede anche un’infinità di libri, dvd, pennarelli, cartoncini colorati e palloncini capaci di diventare animali di ogni genere. Una delle peculiarità dell’associazione è il folto gruppo dei clown. «La loro presenza – spiega Aldo Flego, vice presidente della onlus – diventa facilitante tra l’adulto e il bambino». I piccoli ospiti possono partecipare anche a momenti ricreativi come “il truccabimbi”, “i raccontastorie”, i burattini e gli incontri con un veterinario che, grazie ad alcuni peluche, spiega come prendersi cura degli animali domestici. «Ci muoviamo sempre con grande attenzione, l’invasione non sarà mai il nostro spirito», puntualizza Cook. Ogni anno l’associazione organizza il Premio genitore speranza (o anche nonna o nonno) dedicato a un parente con cui è stato fatto un percorso verso la guarigione. E poi, Astro è attivo nelle scuole. «Interveniamo in tutti i gradi scolastici e ci approcciamo in modo diverso – racconta il presidente -. Ad esempio, nelle scuole elementari utilizziamo palloncini e sketch. A mano a mano che si sale di grado, diventa più pregnante il discorso del volontariato. Alle superiori interveniamo per due ore, all’inizio cercando di instaurare un dialogo con i ragazzi. Nella seconda parte, invece, ci trasformiamo e diventiamo clown. Spieghiamo loro quello che facciamo nei reparti. Vorremmo coinvolgere gli studenti nelle nostre attività ma con le scuole superiori in genere è più difficile. Capita invece di avere con noi molti universitari. Il 24 settembre inizierà il corso di volontariato, durerà 5 giornate, una volta a settimana, e con noi collaborerà la psicoterapeuta Valentina Segato».

L’entusiasmo

Nella sala giochi, trascorriamo un po’ di tempo con alcuni volontari. Indossano la maglietta dell’associazione. E un forte entusiasmo. Eleonora fa parte di Astro da un anno e mezzo. «Ho sempre avuto voglia di portare un sorriso a qualcuno. Così, quando ho visto la locandina con il corso ho deciso di partecipare e da quel momento vengo qui due volte al mese o quando c’è un particolare bisogno». Ultimamente, ci raccontano, una bimba di pochi mesi, con diverse patologie, ha avuto bisogno di “qualche coccola in più”. «Quando arrivo a casa – continua Eleonora – mi sento piena e soddisfatta. A volte si fa fatica a capire di cosa hanno bisogno le persone che vediamo. Ci sono momenti forti, come quando il mio primo giorno ho iniziato a interagire con un ragazzo tetraplegico. Tante volte, poi, si instaura anche un piccolo legame». Un’altra volontaria, Shutina, si trova in piedi attorno a un tavolo con un gruppo di bambini, impegnati a infilare perline in alcuni fili per creare delle collane. «Ho scoperto per caso questa associazione – racconta – mi è piaciuta l’idea di fare del volontariato. Così da un anno e mezzo vengo qui almeno due volte al mese. Quasi sempre, se siamo in più di 4 persone, facciamo un giro per le stanze e per gli altri reparti. Ascoltiamo spesso i genitori ma non voglio dar loro consigli perché non è il mio ruolo».

Il supporto

Così, per chi accompagna i piccoli ospiti, la presenza dei volontari è spesso un sollievo, specie nel caso di una lunga ospedalizzazione. «Un aspetto che differenzia di molto il nostro mondo da quello adulto – ricorda il dottor Russian – è che lì ci si relaziona con il paziente. Qua, il nostro paziente è il bambino ma la relazione è con i genitori». Rapporto più complesso che richiede spesso una particolare attenzione, supportata dalla presenza dei volontari.

I genitori

Nel nostro viaggio al Burlo Garofolo, conosciamo alcuni bambini accompagnati dai loro genitori. Iniziamo a parlare con una madre. «Purtroppo siamo spessissimo qui. Veniamo ogni due mesi per una visita di controllo e circa una volta all’anno per un ricovero – racconta -. Ora mia figlia deve togliere alcuni farmaci. Lei è contenta di venire in sala giochi e i volontari sono simpaticissimi, disponibili e gentili. Le piace tanto la signora che viene la sera a raccontare le storie. O il clown...». La bimba si avvicina e chiede spiegazioni. Vogliamo sapere se i volontari sono simpatici o meno. «Mi fanno tanto ridere i pagliacci! – dice con gioia –. Un giorno ce n’era uno che faceva un rumore strano con una trombetta. Faceva ridere!».

Pagliacci e palloncini

Seduta in disparte, c’è una nonna, sorridente e silenziosa. «Certo che gli operatori sono importanti – dice – mia nipote viene qui, passa il tempo con loro, gioca e fa le collane». La bambina si avvicina e ci invita a giocare a calcetto. Poco dopo, la volontaria Eleonora ci accompagna a incontrare altre mamme di diversi reparti da dove i pazienti, con il permesso dei medici, si possono muovere per raggiungere la sala giochi del terzo piano. Anche un’altra giovane mamma non ha dubbi nel definire l’attività di tutte le associazioni con cui è entrata in contatto durante la sua permanenza in ospedale: «abbiamo solo aggettivi positivi per i volontari, gli infermieri, i dottori. Noi siamo qui dal 3 aprile. Veramente ci hanno dato una grande mano. Mia figlia è contentissima quando arrivano, non vede l’ora di vederli. Forse, sembrerà banale, ma la semplice chiacchierata di 5 minuti o un gioco fatto insieme, con i pagliacci e i palloncini, per noi è veramente tanto». Poco lontano un’altra donna tiene stretta la sua piccola. «È fondamentale sia per lunghe, sia per brevi degenze– dice– perché i bambini si annoiano a stare qui. Avere qualcuno che porta un po’ di allegria e che li crea uno spazio di gioco dove divertirsi, passare il tempo e sentirsi un minimo a casa, è fondamentale. Guai se non ci fossero».

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