I ragazzi morti sul fronte di un’altra Patria: soldati senza uniforme che fecero la Francia

TRIESTE La Francia non sarebbe la stessa senza i suoi immigrati, e altrettanto l’Italia «senza la storia dei suoi figli che hanno dovuto andarsene»: è la tesi cardine di “Gli italiani che hanno fatto la Francia. Da Leonardo a Pierre Cardin”, libro da poco uscito per Baldini+Castoldi e dedicato “a tutti i migranti italiani in Francia”. Migrante lo è lo stesso autore: Alberto Toscano, giornalista novarese, vive dal 1986 a Parigi dov’è stato definito «il più francese dei giornalisti italiani».
Colpisce come Toscano abbini, e sempre con una certa fluidità, nomi largamente noti a personaggi dai contorni storici assai più sconosciuti e indefiniti: chi sono, ad esempio, “les trois Fontanot” tanto celebrati in Francia, ricordati in memoriali e persino da una via che si snoda oltre la Grande Arche de La Défense parigina, parallela nientemeno che a rue Salvador Allende? Se il nome della “Brigata Fontanot” si mastica dai libri di storia, poco si sa del ramo “francese” di questa grande famiglia originaria di Muggia. Per la forte carica iconografica che ha avuto nella storia il manifesto conosciuto come l’«Affiche rouge», il nome più noto dei tre Fontanot è senz’altro quello di Spartaco, nato nel 1922 a Monfalcone, figlio di Giacomo Fontanot e Lucia Fumis. Convinti antifascisti della prima ora, padre operaio ai Cantieri San Marco: con Spartaco piccolo e la sorellina nel ’24 sono costretti a partire alla volta della Francia, prima a Puteaux, quindi a Nanterre. Dove non chiudono con il loro impegno politico, anzi: cresciuto, il giovane Spartaco si distingue subito nella Resistenza francese in ruoli guida nei Ftp-Moi, i Franchi Tiratori Partigiani – Mano d’Opera Immigrata della regione parigina, per poi legarsi a una delle unità più note, il Gruppo Manouchian, autore di continue azioni di guerriglia contro i nazisti.
Tra le più eclatanti, nel settembre ’43 l’uccisione di un colonnello delle Ss, Julius Ritter. Catturati probabilmente per una delazione, Spartaco e compagni subiscono il cosiddetto “processo dei 23”, quasi un’operazione di moderno marketing dove i tedeschi da una parte invitano stampa e troupe cinematografiche ad assistervi e contemporaneamente fanno attaccare ai muri di Francia l’«Affiche rouge», il Manifesto rosso, con le loro immagini: Spartaco si vede nitidamente, abbinato alla dicitura “comunista italiano, 12 attentati”. L’intento è una denigrazione spettacolare dove passi il messaggio che tali uomini non sono liberatori, ma criminali, terroristi, delinquenti comuni. E tutti stranieri. All’udienza, alla domanda sul perché lotti e si sacrifichi per un Paese che non è il suo, Spartaco risponderà semplicemente: «La patria, per un operaio, è là dove lui lavora». Verrà torturato e fucilato, a 22 anni, il 21 febbraio 1944 al Mont Valérien vicino a Parigi: il sacrificio dei 23 sarà celebrato in monumenti, messo in poesia e persino cantato, da Léo Ferré.
Di Spartaco sono note le lettere che invia alla famiglia prima di andare a morire, commoventi e ricche di dignità. «Tra qualche minuto sarò partito per andare a raggiungere Nerone perché oggi alle 15 avrà luogo la mia fucilazione», scrive. Ma aggiunge: «la mia morte non è un fatto straordinario (...); ne muoiono tanti sui fronti e sotto i bombardamenti che non è affatto strano che io, un soldato, cada anch’io». E chiude: «non bisogna prendersela con nessuno, perché io stesso ho scelto il mio destino». Il Nerone della lettera è il cugino, figlio maggiore del fratello di Giacomo, Giuseppe “Bepi” Fontanot, e di Gisella Treja: è lui il primo Fontanot a cadere per la Resistenza.
Nasce il 20 giugno 1921 a Trieste, vivendo poco dopo un analogo trasferimento oltralpe della famiglia. Cresciuto, diventa uno dei più attivi diffusori di stampa clandestina e nei Ftp coordina le azioni dei lavoratori immigrati colpendo con sabotaggi i collaborazionisti. Arrestato nel luglio ’43, si assume la responsabilità degli atti attribuiti al suo gruppo salvando così uno dei compatrioti che verrà deportato. Lui invece è condannato dal tribunale a settembre e fucilato, 22enne, sulla collina di Biard (Poitiers). L’immagine qui accanto ritrae invece il più piccolo del Fontanot, Jacques, unico dei tre a essere nato su suolo francese, il 10 novembre 1926, ma dal destino altrettanto tragico. Del fratello e del cugino ammira l’intraprendenza e appena 16enne si impegna a stampare e distribuire volantini. La foto è effettuata al momento dell’arresto, prelevato direttamente dai banchi di scuola. Sarà fucilato nel giugno ’44 a soli 17 anni, per aver condiviso coi familiari una battaglia al di là delle separazioni geografiche, linguistiche o storiche. E la Francia anche stavolta ricorda: a Vaugeton, il paese più vicino, c’è un monumento in memoria dei giovani caduti. Si legge il nome di Jaques e dei 30 compagni «gloriosi soldati senza uniforme caduti per la Francia e per la libertà nel massacro di Saint Sauvent». —
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