I TRE OBIETTIVI DI OBAMA

Il principale problema del neopresidente Barack Obama è il tempo. Per lui esiste una scadenza fatidica, il 31 dicembre 2011. Dal giorno dopo infatti comincerà di fatto (se non sarà già cominciata) la campagna per la sua rielezione alla Casa Bianca. Per quella data quindi dovranno essere portati a casa almeno i seguenti risultati. Primo. Il rilancio dell’economia, dopo aver domato gli effetti più perversi della crisi strutturale iniziata quattro mesi fa. Il pacchetto di emergenza proposto da Obama punta tutto sulle infrastrutture e sulla leva fiscale. È chiaro che i primi risultati concreti di grandi progetti di opere pubbliche non potranno vedersi prima di un paio di anni dal varo del pacchetto di emergenza.


Secondo. Ristabilire un’immagine più accettabile dell’America nel mondo, in particolare nel Grande Medio Oriente. Non solo per ragioni di prestigio, soprattutto per la sicurezza nazionale. Si tratta insomma di rovesciare la tendenza stabilita da George W. Bush per cui la percezione dell’America produce, e ancora produce, anti-americanismo e in casi estremi terrorismo. Terzo. Riportare la grandissima parte dei soldati schierati in Iraq a casa, indirizzarne un’altra porzione sul teatro afghano-pakistano e lasciare lo stretto indispensabile sul terreno mesopotamico. Se non altro, a vigilare sull’espansionismo iraniano nell’area del Golfo.


Fin dai primi giorni Obama ha tracciato il percorso che dovrebbe portarlo a raggiungere questi tre obiettivi. È un percorso a ostacoli, sul quale anche il brillante leader americano rischia di inciampare. Molto dipenderà dal sostegno che potrà avere dal suo stesso partito, oggi dominatore del congresso, ma tutt’altro che unanime attorno al suo presidente. La sinistra democratica, incarnata dallo speaker della Camera dei rappresentanti, la signora Pelosi, già rimprovera a Barack Obama un eccessivo impulso al compromesso.


Sullo sfondo, poi, il fantasma di Hillary Clinton che chiaramente considera il dipartimento di Stato una residenza provvisoria, in attesa di sistemarsi alla Casa Bianca. Paradossalmente invece Obama ha poco da temere dai repubblicani, semidistrutti dagli otto anni di Bush e tuttora alla ricerca di un leader spendibile.

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