A Gorizia da quasi 160 anni “Il Coccodrillo” rifornisce calzolai, sellai e tappezzieri

L’attività gestita oggi da Donato Celoro si trova in via Carducci ed è una delle più antiche della città

Alex Pessotto
Demetrio Celoro con alcuni cimeli della sua attività, foto Tibaldi
Demetrio Celoro con alcuni cimeli della sua attività, foto Tibaldi

Qualche suo cliente l’ha definito “L’ufficio delle cose perdute”. Perché al civico 31 di via Carducci a Gorizia si ha la sensazione che il tempo non sia andato avanti, rimasto fermo a un’epoca remota.

A quando, nel 1866, quasi 160 anni fa, Johann Drufovka istituiva un’azienda su tre sedi, due in via dei Signori (che di via Carducci era l’antica denominazione) e una in via Rastello. Riguardavano il “grande deposito pellami” e il “premiato lavoratorio tomale”. Inoltre, permettevano di trovare “ordegni per calzolai, pelli per sellai, legatori di libri e tappezzieri”. E non mancavano “Corregge inglesi per transmissioni” e la “Fabbrica pellami a vapore”.

Nel 1900, il fulcro dell’attività si era trasferito a pochi metri, al numero 15, dove è rimasta fino al 2003, quando si è spostata al civico 31, sempre in via Carducci.

Donato Celoro ne è il titolare dal 1996, consapevole dello spirito delle origini, erede, custode di una tradizione. E così “Il Coccodrillo” si occupa di forniture per calzolai, sellai e tappezzieri. A pieno titolo, appartiene alla storia di Gorizia.

«Quando venivo qui, da ragazzino, perché mio padre mi chiedeva di far qualche acquisto, mi meravigliavo di come un negozio simile potesse resistere», racconta Donato. Che aggiunge: «In effetti, è sempre stato sull’orlo della chiusura, in bilico. È passato tra le gocce del tempo, ma senza bagnarsi. È entrato nell’immaginario collettivo della città e questo lo fa andare avanti, anno per anno, ma non mi attendo incrementi. Sì, ho conosciuto buoni periodi, ora lontani. Con l’entrata nell’euro c’è stato qualche momento di entusiasmo. Poi, il contraccolpo, l’arretramento. E gli effetti della crisi finanziaria si sono fatti sentire anche nel territorio». Inoltre, «La via è cambiata, si è spopolata, è diventata periferica. Tanti commercianti hanno abbassato le serrande. E la chiusura al traffico della galleria Bombi non è un bene».

Infine, Go!2025 porta vantaggi a molti, ma non a tutti.

«A me non sono cambiate le cose, ma per la città sono felice: che sia un volano per Gorizia», commenta Celoro che, rilevando l’attività da Eligio Bensa, ha portato avanti un’esperienza che già possedeva nel campo della pellicceria, della pelletteria, dell’abbigliamento.

«Ma la pellicceria era finita e l’abbigliamento stava passando per lo più ai grandi gruppi, il suo calo era inevitabile. La parola d’ordine, allora, era specializzazione. E così ho intrapreso questa avventura. All’inizio, andava bene. Ricordo quando i vecchi calzolai venivano da me con la carta oleata, dove si scrivevano cosa comprare». Un altro mondo.

Di certo, «Non mi sono pentito. Anzi, è un onore essere “l’ultimo”. E poi devo pur sempre arrivare alla pensione. Cosa farò un domani? Non guardo troppo in là. Ma forse, dopo tante volte che questo negozio ha rischiato di chiudere, quel giorno chiuderà per davvero», dice Donato con un po’ di scaramanzia, tirando fuori qualche preziosa vestigia: il registro di quanti acquistavano a debito e provenivano anche da Graz, Vienna, Budapest, Praga, Torino e un’insegna con l’iscrizione “B. Saunig”.

Perché Bruno Saunig era colui che, a Drufovka, subentrò nel 1920. «È un’insegna a bandiera, come si possono vedere nella famosa via di Salisburgo», precisa Celoro. Intanto, la storia sua e del negozio continuano. Anche se tutto, in via Carducci 31, sembra così immobile, emblema di una Gorizia scomparsa. —

 

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