Il coraggio delle donne sul fronte delle fabbriche

Pubblichiamo un brano dell’intervento di Mirella Serri dedicato a “Donne sui fronti di guerra”, sabato 24 maggio, alle 18, alla Tenda Apih, con Barbara Schiavulli e Valeria Palumbo.
di MIRELLA SERRI
«Sono storie esemplari nella loro umiltà e chiarezza. Storie che raccontano il coraggio, la tenacia, la forza di corpi femminili in azione, prima, durante e dopo una guerra devastante che ha impoverito e umiliato il nostro paese. Pronte a rischiare la vita per difendere la libertà di parola, di pensiero e di movimento. Donne che hanno avuto una parte importante nelle cronache del tempo e che qualche volta sono state anche riconosciute e ammirate dai loro contemporanei. Ma poi, appena si è cominciata la sistemazione della memoria comune, con un processo che potremmo paragonare alla scomparsa carsica dei corsi d’acqua (...) queste storie di donne sono passate nel silenzio di una sepoltura che viene considerata “naturale”, ma naturale non è»: così scrive Dacia Maraini nell’introduzione al volume “Donne nella Grande Guerra”, edito da il Mulino (con contributi di Marta Boneschi, Paola Cioni, Elena Doni, Claudia Galimberti, Lia Levi, Maria Serena Palieri, Cristiana di San Marzano, Francesca Sancin, Mirella Serri, Federica Tagliaventi, Simona Tagliaventi). Il ruolo delle donne nella Grande Guerra, come rileva la Maraini, è stato decisivo ma è stato per decenni dimenticato e rimosso. Nel 1914, quando gli uomini in grado di combattere o di poter in qualche modo essere utili al fronte, vengono richiamati alle armi si verifica un singolare fenomeno: il loro posto, per la prima volta nella storia, viene preso dalle esponenti del gentil sesso. Non indossano la divisa, non imbracciano le armi eppure il contributo femminile alla guerra è essenziale. A cominciare dalla Francia e dall’Inghilterra, la manodopera delle donne è preziosa nello sforzo bellico. Paradossalmente senza di loro non vi sarebbe la guerra: vengono impegnate nelle fabbriche di bombe e di munizioni. Hanno orari incredibili, retribuzioni da fame, si ammalano e perdono la vita (per esempio, la pelle si tinge di giallo e vengono per questo denominate con nomi vezzosi, come canarini, che occultano la gravità del male). Senza l’apporto delle donne nell’Europa priva di braccia maschili tutta la produzione poi languirebbe: eccole dunque ai macchinari del settore tessile in grande espansione per via dell’impegno in guerra. Tante altre industrie e aziende senza il loro contributo rimarrebbero sguarnite. Nelle città la loro presenza è essenziale: le donne, per esempio, vengono per la prima volta impiegate alla guida dei tram. Con grande sdegno dei moralisti che vedono nel gentil sesso in abito da tramviere una pericolosa tentazione per l’altro sesso. Se non ci fossero le donne, poi, i campi, il bestiame, le coltivazioni rimarrebbero abbandonati. Come del resto le famiglie, gli anziani e i bambini che rimarrebbero senza sostentamento. Ma soprattutto i soldati al fronte non avrebbero l’aiuto prezioso delle crocerossine e delle infermiere. In un primo momento le donne di estrazione borghese ed aristocratica, dotate di una buona disponibilità economica, mettono a disposizione dei soldati i loro mezzi e la loro sapienza. Applicano le loro capacità e le loro conoscenze di economia domestica e, ad esempio, si riuniscono in gruppi e raccolgono cappotti, coperte, pellicce, indumenti usati e li riciclano per il fronte. Inventano gli indumenti "antiparassitari" che prevengono i pidocchi e le blatte cosi frequenti nella vita delle trincee, creano la prima maschera antigas, organizzano la raccolta dei noccioli di pesche e albicocche che, opportunamente lavorati, si trasformano in sapone. La mobilitazione di volontarie della Croce Rossa (...) è essenziale in campo medico. Gli ospedali nelle retrovie si riempiono di infermiere impegnate nel prestare soccorso e cure ai soldati (...). Nel 1917 le volontarie della Croce Rossa raggiungono il considerevole numero di circa 10mila a cui vanno sommate altrettante signore e signorine facenti parte di altre associazioni. Anche in questo caso le voci dei cosiddetti “benpensanti” non mancano di esprimere il proprio biasimo e criticano la contiguità tra i corpi maschili e femminili. Si diffonde l’abitudine di chiamar “sorelle”, “angeli” le infermiere e le crocerossine in modo da neutralizzare la percezione del loro potenziale erotico. Con la guerra e i nuovi lavori, le donne conquistano una nuova inaspettata autonomia. Fioriscono così (...) i manuali e le rubriche di consigli sulle riviste femminili per insegnare al gentil sesso a difendersi dalle avances degli audaci corteggiatori quando si trovano per strada senza accompagnatori o addirittura quando capita loro di viaggiare da sole. A questa "emancipazione" lavorativa e di vita non sempre corrisponde una effettiva maggiore libertà a livello personale: spesso a custodia delle case ci sono gli anziani i quali, come nella tradizione, continuano ad esercitare il loro ruolo autoritario all’interno della famiglia. Inoltre non mancano diffidenze e atteggiamenti di rifiuto da parte dei tradizionalisti: “Nelle fabbriche metalmeccaniche la presenza femminile era talvolta avvertita (...) come un sovvertimento dell'ordine naturale e un attentato alla moralità” (Antonio Gibelli, "La Grande Guerra degli Italiani").
Ad approfittare delle nuove libertà furono invece le artiste: un brillante esempio di queste inedite conquiste femminili è rappresentato dalla saggista e scrittrice futurista, Eva Kühn Amendola. Moglie del politico e giornalista liberale e antifascista, Giovanni Amendola, perseguitato e portato a morte dalle camicie nere, Eva è stata la madre di Giorgio, futuro leader del Pci, per anni nelle galere di regime. Eva, “la russa”, come la chiamavano poiché era nata a Vilnius in Lituania, è oggi un personaggio dimenticato insieme al suo ruolo nella prima guerra mondiale: fu poetessa, bravissima traduttrice, studiosa e divulgatrice della filosofia di Schopenhauer, di Henry Thoreau, di Fëdor Dostoevskij e di tanta altra letteratura dell’Europa orientale. (...)
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