Il franco svizzero fa paura alla Slovenia

Cittadini e imprese hanno sottoscritto prestiti in valuta per 794 milioni di euro. Il Parlamento accelera sulle privatizzazioni
La riunione della commissione Finanze del Parlamento di Lubiana
La riunione della commissione Finanze del Parlamento di Lubiana

TRIESTE. S.o.s franco svizzero a Lubiana. I cittadini e le imprese slovene hanno prestiti in valuta elvetica per un totale di 794 milioni di euro. La gran parte di questa somma (ben 743 milioni di euro) è da ascriversi a prestiti per l'acquisto di immobili. A rendere noti i dati è stata la Banca centrale slovena all'indomani della decisione della banca centrale svizzera di sganciare la propria valuta dal cambio fisso con l'euro.

Si tratta comunque di una somma di molto inferiore a quella del periodo immediatamente precedente la crisi finanziaria: tra la fine del 2008 e l'inizio del 2009 i prestiti in franchi per i cittadini sloveni erano pari a 1,4 miliardi di euro.

La diminuzione del valore creditizio è cominciato a scendere più sostanzialmente dal 2011 in poi. La decisione inaspettata della banca centrale svizzera ha creato parecchio panico nel mondo finanziario sloveno per l'aggravio delle rate dei prestiti dovute allo sganciamento, che ha fatto guadagnare alla valuta svizzera circa il 20%.

L'Unione dei consumatori sloveni (Zps) ha perciò chiesto al ministro per l'economia Dusan Mramor di assumere i dovuti accorgimenti per tutelare i debitori sloveni. Per quaqnto riguarda, invece, le aziende queste sono indebitate per circa 300 milioni di euro in franchi svizzeri e tra le più esposte ci sono anche le Ferrovie slovene e a tutt’oggi in Slovenia non è chiaro se queste realtà imprenditoriali siano o meno assicurate a fronte delle oscillazioni valutarie e se sì per quanto.

Secondo gli analisti economici di Lubiana, comunque, le conseguenze saranno comunque pagate dai contribuenti sloveni. «Questi avvenimenti estremi - spiega a Rtv Slovenija l’analista Aleš Ah›an - si ripeteranno sempre più spesso perciò le aziende devono concretamente tutelarsi da tali situazioni altrimenti rischieranno di andare in rovina».

E se su questo tema ancora non vi è stata una presa di posizione ufficiale da parte del ministro delle Finanze una decisione è stata presa invece sul fronte delle privatizzazioni dalla commissione parlamentare Finanze del Parlamento della Slovenia che, dopo cinque ore di intenso confronto, ha deciso che le 15 aziende indicate nella prima lista redatta ancora dal precedente governo Bratušek continuano a essere sul mercato. La privatizzazione, dunque, va avanti.

Tra i più accesi sostenitori del blocco della procedura è stato il leader della Sinistra unita (Zl) Luka Mesec il quale nel corso del dibattito ha illustrato la petizione popolare contro la privatizzazione, peraltro ufficialmente presentata a governo e Parlamento, che ha già raccolto 11mila firme di adesione. «La svendita dei beni dello Stato - ha affermato Mesec - non è onesta, non è utile e non è volontaria». Secondo i calcoli esposti dal leader della Zl se si dovessero vendere tutte le partecipazioni statali l’incasso per la Slovenia sarebbe pari a 11 miliardi di euro, «per cui - ha concluso Mesec - comunque ci rimarrebbero 17 miliardi di debito pubblico. Cosa venderemo dopo?» si è chiesto con malcelata ironia.

Estremamente pragmatica la risposta del ministro delle Finanze, Dušan Mramor il quale emblematicamente ha spiegato come negli incontri che sta avendo con i grandi investitori internazionali a questi interessano solo tre cose: la stabilità politica, la privatizzazione delle aziende inefficaci e il rispetto dei parametri di Maastricht. «E anche i rappresentanti delle principali istituzioni finanziare ed economiche che giungono in Slovenia - ha concluso - ci chiedono unanimamente di proseguire nel processo di privatizzazione». Processo per il quale è nata un’altra petizione popolare con già 3.200 firme questa però proprio a favore di esso.

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