«Il mio amore per Trieste nato nelle serate al Verdi»

Latinista di fama, musicologo, docente al Petrarca e all’Università, Franco Serpa riceve il Sigillo trecentesco. Dall’incontro con Stravinski alla passione per Wagner
Di Gabriella Ziani
Silvano Trieste 08/05/2012 Viste su Trieste e Antica Diga
Silvano Trieste 08/05/2012 Viste su Trieste e Antica Diga

Latinista di fama, docente al liceo classico Petrarca e all’Università, musicologo (ha collaborato con Fedele D’Amico alla sezione musica dell’«Enciclopedia dello spettacolo»), innamorato del “Verdi”, autore di innumerevoli prolusioni per le stagioni liriche triestine, appassionato di Wagner, e in passato anche funzionario all’Istituto italiano di cultura di New York, Franco Serpa (82 anni) viene adottato dalla città. Oggi alle 18.30 nel salotto azzurro il Comune - con il sindaco Roberto Cosolini - gli consegnerà il Sigillo trecentesco.

Professor Serpa, le sue possibilità erano talmente grandi: come mai arrivò a Trieste?

Tornato dall’America, insegnavo nei licei, e fu Giuseppe Petronio, preside di Lettere e filosofia all’Università di Trieste, a chiedermelo: perché non vieni a Trieste? Così nel 1975 ci arrivai. Per 2-3 anni dovendo contemperare liceo e università, con Letteratura latina. In seguito, per 3-4 anni ebbi incarichi annuali a Storia della musica. Ma Trieste era stata sempre presente nella mia vita, ogni tessuto di vita ha un suo filo privilegiato, per me quel filo era Trieste.

In che modo?

Mio padre, calabrese, nel 1917 era stato richiamato per la Prima guerra mondiale e trasferito a Monfalcone. E concepì allora un amore straordinario per queste terre, e per Trieste in particolare. Io sono cresciuto a forza di “Trieste!, Trieste”. Eventi eccezionali si raccontavano in famiglia. E ne fu coinvolto perfino un cane: il cane di mio padre che non feci a tempo a conoscere, perché non ero ancora nato, venne battezzato “Monfalcone”. A Cosenza, s’immagini un po’.

E lei restò catturato?

L’amore mio per Trieste cominciò attraverso il teatro Verdi. Venivo sempre a vedere gli spettacoli, ho conosciuto il Caffé degli specchi in forma originale: una fortuna.

Oggi come le pare cambiata la città?

Nella vita urbana, quotidiana e civile non molto. Ma hanno chiuso molti luoghi tanto cari ai triestini: ristoranti, caffé e bei negozi. L’aspetto “chic” di una volta si è un po’ obnubilato, ma quello della grazia, dell’eleganza, c’è sempre.

Lei ha tanto frequentato il Verdi, saprà dunque che è sotto commissariamento?

Io amo molto, molto, il Verdi, per 2-3 decenni è stato uno dei migliori in Italia. Ci venivo regolarmente anche prima del 1975. Ora non è l’unico teatro in difficoltà, è l’unico però che adesso per la sua situazione mi metta malinconia. Ma sono sicuro che si tratta di una situazione transitoria.

Filologia classica, cultura latina e musica: due lauree, due insegnamenti, una doppia vita?

Sì, tuttavia senza dissidio: una compagnia. Nella storia della cultura classica dell’800, nella filosofia tedesca, moltissimi grandi erano anche musicisti. Nietzsche, per esempio.

E lei è innamorato di Wagner. Perché a Trieste Wagner ha sempre goduto di grandi platee?

Perché nella cultura austrotedesca che a Trieste un tempo si sentiva moltissimo Wagner era importante. Una cultura austrotedesca che adesso in città, spero temporaneamente, si sente un po’ meno. Ma una volta era di casa, per antica tradizione a Trieste si parlava anche il tedesco.

Tra i suoi grandi incontri in campo musicale c’è Stravinsky. Come accadde?

Fu a Roma, ebbi l’onore (e il timore) di accompagnarlo con la mia macchina. Era adorabile. Emanava genio puro. E semplicità allo stesso tempo. Sorrideva, mi guardava con occhietti vivaci, mostrando amabilmente di accorgersi di quanto io fossi in fibrillazione. E lo ero. Ma da lui emanava una “semplice autorità”.

Invece a New York incontrò Greta Garbo, mito del cinema.

Oh, l’avevo inseguita per almeno due anni. Volevo vedere questo mito, la donna allora più bella del mondo. Notoriamente ritrosa, nascosta. Per grazia malinconica del destino avvenne questo: era l’autunno del 1968, dovevo lasciare New York, avevo già sbaraccato casa e il bagaglio era già partito verso l’Italia, quando una mattina molto presto, verso le 8, feci una passeggiata a Central Park. E improvvisamente nei viali vidi una figuretta, con la felpa, gli occhialini. “Non è possibile - pensai -, è lei!”. Mi avvicinai un poco, ma molto incerto sul che fare. E nel suo viso vidi l’espressione di chi pensa: “Ecco uno che adesso mi disturberà...”. Allora arrivai a due metri da lei, e dissi semplicemente a voce alta quello che stavo effettivamente pensando: “Oddio, è la Garbo...!”. Mi guardò, se ne andò. Lasciai che restasse un’apparizione, per rispetto.

A Trieste ha degli amici?

Moltissimi. Sarebbe un faticoso elenco. Ma gli amici migliori che ho sono quelli triestini, li vengo a trovare regolarmente. Ho sentito dire che la gente di qui viene considerata eccessivamente riservata, ma posso smentirlo. Io ho sempre trovato cordialità e amicizia.

Delle sue passioni speciali invece l’elenco si può fare?

Il romanticismo e il decadentismo tedeschi, Wagner, Strauss. E, naturalmente, Stravinsky. E una passione che mi nutre tuttora è la tragedia greca.

Come convincere un ragazzino, oggi, ad apprezzarla?

Io gli direi: certamente, anche se ti auguro di no, ti capiterà prima o poi nella vita di farti alcune domande, di provare angosce, e forse di avere dispiaceri. In questo caso: leggi Sofocle.

Che cosa dirà alla cerimonia in Comune?

Che, per tutto, sono molto grato a Trieste, alla città della mia vita. E che sono grato al sindaco e al consiglio comunale di avermi, troppo generosamente, offerto questa manifestazione di stima.

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