Indagini sul medico del 118 accusato di 9 morti sospette: nominati 14 specialisti per le autopsie

Lo scorso novembre la Procura aveva indagato Vincenzo Campanile, medico del 118 di Trieste (attualmente sospeso dall’esercizio della professione), 47 anni, originario di Ronchi, per nove casi di decessi sospetti e falso in atto pubblico. Nel frattempo sono state riesumate cinque salme su cui sono stati svolti degli esami autoptici che verranno approdonditi da 14 medici appena nominati
Il medico Vincenzo Campanile
Il medico Vincenzo Campanile

 

 

La Procura di Trieste aveva indagato lo scorso novembre Vincenzo Campanile, medico del 118 di Trieste (attualmente sospeso dall’esercizio della professione), 47 anni, originario di Ronchi, per nove casi di decessi sospetti e falso in atto pubblico. Il fascicolo era stato aperto dai pm Cristina Bacer e Chiara De Grassi. Gli inquirenti avevano avviato gli accertamenti su nove triestini morti (inizialmente si pensava solo quattro) negli ultimi quattro anni, tra novembre del 2014 e gennaio del 2018: persone tra i settantacinque e i novant’anni, affette da gravi patologie o colte da improvvisi malori e peggioramenti delle condizioni di salute, che erano state assistite proprio dal dottor Campanile negli interventi di soccorso dell’ambulanza. Secondo l’accusa l’anestesista del 118 avrebbe iniettato sedativi potenzialmente letali per i pazienti in quelle condizioni: cioè il propofol, che i colleghi di Campanile riconoscevano dal colore «bianco latte». Così è emerso dagli interrogatori.

 

«Ha ucciso 9 pazienti». Medico di Cattinara indagato dalla Procura
Il medico indagato Vincenzo Campanile

 

Dal canto suo Campanile è certo di non aver ucciso nessuno. Anche perché, ha assicurato durante il primo interrogatorio davanti al gip, le iniezioni di propofol e di altri potenti sedativi somministrati agli anziani ammalati e soccorsi con urgenza dalle ambulanze, non erano affatto letali. Ma, anzi, assolutamente «lecite», sia sotto il profilo «normativo» sia a livello «medico-scientifico». Così si è poi difeso davanti al gip Luigi Dainotti alla presenza del proprio legale, l’avvocato Alberto Fenos di Pordenone, e dei magistrati che coordinano l’indagine, il pm Bacer e De Grassi.

 

 

Poco tempo dopo l'interrogatorio il gip si è espresso sulla sospensione del medico dall’esercizio della professione. E' stata rigettata la richiesta di revoca della misura interdittiva avanzata dal legale che difende Campanile. Nell’interrogatorio del gip, Campanile ha accettato di parlare soltanto di un unico episodio, quello della morte dell’ottantunenne Mirella Michelazzi, deceduta il 3 gennaio nella casa di cura Mademar. Il medico ha somministrato il propofol, anche dinnanzi alle richieste del figlio che domandava con insistenza il ricovero della madre in ospedale. Poco dopo la donna è deceduta. In merito a questa vicenda, il rianimatore ha ripetuto in buona sostanza quanto già affermato ai pm: si è limitato a ribadire che il suo operato nei confronti dell’anziana è stato legittimo.

 

 

Il fascicolo contro Campanile che raccoglie tutte le accuse è composto da 5 mila pagine in cui sono racchiusi i risultati di mesi e mesi di indagini a carico dell’anestesista.

 

 

L’inchiesta apre una serie di interrogativi sui comportamenti del dottore. Ma anche su quelli di chi aveva ruoli gestionali all’interno dell’Azienda sanitaria, sebbene non ci siano altri indagati: c’era qualcuno che aveva il compito di vigilare sull’attività del medico del 118, su quelle schede “truccate” e su come usava i farmaci? Tanto più che il modus operandi di Campanile sarebbe stato segnalato. O, quanto meno, c’era chi sapeva. E se qualcuno ha parlato, perché nessuno dei vertici ha avviato provvedimenti? Per questo motivo tra gli indagati è finito anche l'ex capo del 118 Vittorio Antonaglia.

 

 

 

E' incrociando i racconti di medici, infermieri, Oss e autisti - quelli ritenuti collaborativi - che gli investigatori sono riusciti a ricostruire la lista dei nove triestini deceduti. Ultraottantenni ammalati, colpiti da malori o complicazioni, che venivano soccorsi dal medico. Le somministrazioni di propofol, ma anche di morfina, diazepam e midazolam potrebbero aver «determinato» o comunque «accelerato» la morte. I farmaci talvolta venivano iniettati insieme.  Bacer e De Grassi hanno coordinato l’intera attività dei carabinieri del Nucleo investigativo di Trieste e della sezione di polizia giudiziaria dei carabinieri della Procura. L’ipotesi di reato appunto è omicidio volontario. Ma anche falso in atto pubblico: perché il medico finito sotto inchiesta, come accertato, aveva omesso di riportare sulle schede di intervento del 118 la somministrazione di quei medicinali. Li iniettava, ma poi non ne lasciava traccia scritta.

 

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Lasorte Trieste 20/11/18 - Ambulanza, 118

 

L’indagine è scattata dall’ultimo episodio, quello dell’ottantunenne Mirella Michelazzi deceduta il 3 gennaio. Da quanto si apprende dagli appunti relativi all’autopsia, ripercorsi dal figlio Cesare Negro nella sua dolorosa testimonianza, anche la signora è spirata dopo un’iniezione di propofol. «All’esito dell’indagine valuterò se ci saranno le basi per richiedere il risarcimento dei danni all’Azienda sanitaria per i fatti contestati al medico», anticipa il legale che tutela Negro, l’avvocato Antonio Santoro. «Ciò è ipotizzabile qualora l’Azienda sanitaria, durante questi anni, era in grado di accertare eventuali anomalie nell’operato del medico».

 

Mirella Michelazzi, deceduta nella casa di cura Mademar, rappresenta il primo caso da cui sono partite le indagini
Mirella Michelazzi, deceduta nella casa di cura Mademar, rappresenta il primo caso da cui sono partite le indagini

 

«Quel medico deve stare in carcere, invece è libero»., racconta con rabbia il quarantanovenne Cesare Negro, il figlio dell’ottantunenne Mirella Michelazzi, deceduta il 3 gennaio nella casa di cura Mademar dopo un’iniezione di propofol somministrata dal dottor Vincenzo Campanile: è proprio da questo caso appunto che è scoppiata l’intera indagine della Procura. È così che sono state scoperte le altre morti sospette. Cesare Negro ricorda con esattezza cosa è successo quel giorno di inizio gennaio. Interpellato dal Piccolo, oggi accetta di raccontare tutto, passo dopo passo. Lo fa in presenza del proprio legale, l’avvocato Antonio Santoro, passando in rassegna gli atti dell’indagine che tiene sotto mano per l’intera chiacchierata. «Erano circa le cinque del pomeriggio - ripercorre il figlio - a un certo punto ricevo una telefonata dalla Mademar...». La madre, affetta da demenza senile, è ricoverata a causa di una caduta in casa. «Mi avvertono che si è sentita male, che aveva problemi respiratori. Ma non pareva nulla di grave. Mi informano che avrebbero chiamato comunque l’ambulanza per portare mia mamma in ospedale».

 

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Il medico Vincenzo Campanile

 

Alcuni minuti dopo, mentre il figlio sta raggiungendo la casa di cura, ecco un’altra telefonata. La situazione è degenerata di colpo. «C’era un medico, quello dell’ambulanza (è il dottor Campanile, ndr) che, in modo arrogante, mi informava che mia madre non era trasportabile all’ospedale». Negro prende paura, accelera il passo. «Ho detto al medico di far ricoverare mia mamma ma lui ha risposto di no, che decide lui». Dalle relazioni in mano all’avvocato, emerge che prima dell’arrivo sul posto del dottor Campanile alla donna era stato applicato l’ossigeno. I sanitari, infatti, sono certi di trovarsi davanti a un caso di insufficienza respiratoria acuta. Questo è un passaggio chiave della vicenda. Il motivo? Perché, stando a quanto viene a galla, il medico dell’ambulanza avrebbe ordinato di togliere l’ossigeno. «Sì - confermano sia il figlio che l’avvocato Santoro - questo è scritto negli atti». Quali atti? Una perizia medico legale allegata all’indagine.

 

Il medico Vincenzo Campanile
Il medico Vincenzo Campanile

 

Negro ha insistito: «Portate mia mamma all’ospedale», ha urlato al Campanile. Ma quando il quarantanovenne è arrivato alla Mademar, alla donna è stato già dato il propofol in endovena. Un sedativo pesante iniettato alla signora «rapidamente», si legge nei documenti. Sono momenti concitati, nella stanza della Mademar. Da quanto si apprende, il medico non riesce nel primo tentativo e decide di somministrare il farmaco con accesso femorale. Ma il dottore dell’ambulanza tenta di rianimare la paziente? Andrà accertato. L’avvocato, ripercorrendo gli atti in suo possesso, è convinto di no. «Mi sono davvero alterato - riprende il racconto Negro - ero furioso. E quando mi sono trovato davanti il dottor Campanile ho chiesto spiegazioni sul motivo per il quale mia mamma non è stata trasportata in pronto soccorso. E sa cosa mi ha risposto lui, sempre con quel suo modo arrogante di fare? Che è lui che decide. Che lui è il medico. Ha addirittura minacciato di telefonare ai carabinieri. Io, nel frattempo - rammenta ancora il figlio - ho telefonato al mio avvocato. Perché quello che stava succedendo era troppo strano: mia mamma stava morendo all’improvviso e il dottore dell’ambulanza non voleva portare mia madre d’urgenza all’ospedale. Pazzesco». Sono attimi di tensione. Intanto la paziente muore.

 

 

Ma cosa accede esattamente in quei momenti, pochi prima del decesso? L’erogazione dell’ossigeno riprende, pare su decisione di un altro operatore dell’ambulanza. Ma, da quanto risulta, il medico si oppone. Il collega non gli avrebbe dato ascolto . Forse c’è un diverbio tra i due davanti alla paziente. «Ma a detta del personale - specifica la relazione - la Michelazzi era viva prima dell’iniezione, con gli occhi aperti fissi verso una direzione. Non rispondeva agli stimoli, ma era viva e con un’attività cardiaca e respiratoria». Poi è spirata. «Ho sentito i rantolii - spiega ancora Cesare Negro - e io al dottore gli ho gridato “guardi che non finisce così”...». Vale la pena riportare cosa in effetti ha constatato la perizia medico legale: «Il decesso della signora Mirella Michelazzi di anni ottantuno - così si legge - appare attribuibile, in base agli accertamenti esperiti, anche tossicologici, a una intossicazione acuta da recentissima somministrazione del farmaco propofol con i conseguenti effetti propri di tale principio attivo». Insomma, chiarissimo.

 

Un'ambulanza in una foto di repertorio
Un'ambulanza in una foto di repertorio

 

È la sostanza che, stando alle ipotesi della magistratura, ha cagionato la morte o la ha perlomeno accelerata. Il racconto del figlio, unito agli atti (che riferiscono anche degli esiti dell’autopsia e dei test tossicologici che appurano la sostanza iniettata), spalanca una serie di interrogativi. Il primo: perché è stato tolto l’ossigeno? Il secondo: perché la donna, aggravata, non è stata portata in ospedale? E perché il dottore dell’ambulanza decide, di suo pugno, di iniettare quel farmaco? La paziente poteva essere salvata dalla crisi respiratoria? «La cosa che mi ha colpito di più - conclude il figlio - è stata l’arroganza del dottore e quel suo voler imporre la propria decisione a tutti i costi, dicendo in pratica che lì comandava lui. Uno così deve andare in carcere, non può essere libero. Ha fatto qualcosa di mostruoso».

 

 

La Procura di Trieste intanto agli inizi di febbraio di quest'anno aveva disposto la riesumazione dei cadaveri degli anziani che – secondo l’accusa – sarebbero stati uccisi dalle iniezioni di sedativi praticate dal dottor Vincenzo Campanile.

I pm Cristina Bacer e Chiara De Grassi, titolari del fascicolo, intendono dunque andare fino in fondo sulla clamorosa vicenda del medico di Cattinara, 47 anni, originario di Ronchi, attualmente sospeso dalla professione per effetto dell’ordinanza di misura cautelare chiesta dalla Procura e applicata a metà novembre dal gip Luigi Dainotti. E ora ridotta dal Tribunale del Riesame.

 

 

A fine febbraio invece il gip Luigi Dainotti, i pm, la difesa, le famiglie degli anziani deceduti e l’Asuits hanno affidato a 14 specialisti l'analisi della autopsie sui cadaveri degli anziani per i quali si ipotizza una morte dovuta alle iniezioni di sedativi praticate del dottor Campanile. Sono cinque i corpi che saranno sottoposti agli esami autoptici e tossicologici, vale a dire quelli delle persone non cremate. L’équipe si riunirà per la prima volta il 27 marzo nella sede del Comando dei carabinieri di Trieste, in via dell’Istria, per iniziare le operazioni. Gli specialisti, che subito dopo si sposteranno in obitorio, hanno l’incarico di verificare l’eventuale presenza dei medicinali negli organi e la quantità iniettata. Il quesito investigativo è chiaro: esiste un collegamento tra i decessi degli anziani e i farmaci usati da Campanile? Andrà naturalmente ricostruito il quadro clinico di ciascun paziente all’arrivo dei soccorsi.
Quattordici in tutto, dunque, gli esperti (tra periti e consulenti di parte) che si occuperanno del caso. Nell’udienza dell’incidente probatorio per il conferimento degli incarichi, che si è tenuta nei giorni scorsi davanti al gip Dainotti, erano presenti alcuni dei legali delle famiglie coinvolte (tra cui gli avvocati Antonio Santoro e Maria Genovese), l’avvocato Giovanni Borgna per l’Asuits e l’avvocato che difende Campanile, Alberto Fenos del Foro di Pordenone.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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