Kosovo, torna lo spettro della Grande Albania. Belgrado lancia l’allarme

In piena campagna elettorale l’ex premier di Pristina evoca l’ipotesi di un referendum per l’unificazione da attuare entro il 2025 
ARacak, in Kosovo, l’omaggio al memoriale di civili albanesi del Kosovo uccisi nel 1999 dai soldati serbi
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IL CASO La comunità internazionale, Ue in testa, si sarebbe dimenticata del Kosovo, lasciandolo per troppo tempo al palo nel processo d’integrazione euroatlantica. E allora Pristina dovrebbe reagire, resuscitando addirittura l’esplosiva idea dell’unificazione con Tirana. Come “rappresaglia”.

A evocare quello che per Belgrado resta lo spettro della “Grande Albania” – più volte riapparso negli ultimi anni e sempre fonte di tensione - è stato l’ex premier kosovaro Ramush Haradinaj, in corsa per la poltrona di presidente della Repubblica e leader di quell’Alleanza per il futuro del Kosovo (Aak) che ha fatto parte della coalizione di governo uscente e che giocherà le sue carte anche al voto anticipato del 14 febbraio. Carte che celano un jolly inatteso, che ha già infiammato i sempre conflittuali rapporti con la Serbia. È l’idea di un «referendum» per arrivare all’unione tra Kosovo e Albania «entro il 2025» la bomba lanciata dall’ex premier Haradinaj, giustificata da presunte ingiustizie compiute dalle grandi potenze ai danni di Pristina. Se tutto continuerà come nel recente passato, fra «quattro o cinque anni» il Kosovo rischia di attendere ancora davanti «alle porte della Nato», di vedersi un’altra volta negata l’attesissima «liberalizzazione dei visti» con la Ue, di «non essere riconosciuto da cinque Paesi dell’Ue» ed essere lontanissimo dall’ammissione all’Onu, ha attaccato Haradinaj: «Dovremmo accettarlo?». No, si dovrebbe invece andare al muro contro muro, affidandosi solo ai veri amici, quelli della vicina Albania. Da qui l’ipotesi di mantenere aperta l’idea di «un referendum sull’unificazione con l’Albania, non perché lo vogliamo ma poiché abbiamo detto per vent’anni all’Occidente che siamo a favore di un Kosovo euro-atlantico, parte di Ue e Nato e dell’Onu». E malgrado tutto Pristina rimane a oggi esclusa.

Parole che hanno provocato un terremoto sull’asse Belgrado-Pristina, anche perché non costituirebbero una vuota minaccia. Evocare «la creazione della Grande Albania» è un messaggio «pericoloso per la pace e la stabilità degli interi Balcani», ha affermato il numero uno dell’Ufficio governativo per il Kosovo, Petar Petković. Ma ancora più duro, il presidente serbo Aleksandar Vučić ha ricordato che Haradinaj è fra i papabili per la carica di capo dello Stato, mentre accreditato per vincere le parlamentari è il movimento Vetevendosje di Albin Kurti, in passato fra i fautori dell’idea di un referendum per l’unificazione con l’Albania e probabile prossimo premier.

Ma forse Kurti ha ora altre cose per la testa. Secondo rivelazioni di stampa potrebbe essere estromesso dalla corsa elettorale causa una condanna, del 2018, per il lancio di lacrimogeni in Parlamento, protesta estrema contro leggi ritenute da lui ostili agli interessi del Kosovo. Sparata o “corsa in avanti” che sia quella di Haradinaj, è una «minaccia» non solo per Belgrado ma per tutti i Balcani, ha detto Vučić. «Se qualcuno in una così alta posizione in Serbia avesse parlato di unificazione», un riferimento alla Republika Srpska o al nord del Kosovo, «ci avrebbero bombardati», ha rincarato il leader serbo facendo intuire di esser rimasto sorpreso dall’assenza di reazioni di Bruxelles e Washington alla sfida di Haradinaj. —



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