La carica dei fotoreporter nella Trieste dei tricolori

Ugo Borsatti, Manlio Granbassi, Arduino Pozzar e tanti altri fotografi professionisti scesero nelle strade con la gente. Ma ci sono ancora tanti scatti sconosciuti
Di Claudio Ernè

di CLAUDIO ERNÈ

Nove anni e 156 giorni. Dal 12 giugno 1945 al 26 ottobre 1954. Per questo lungo, lacerante periodo, Trieste fu governata da militari americani e britannici, i vincitori con i russi della seconda guerra mondiale. Il 26 ottobre 1954 alle 10 del mattino la città fu restituita all'Italia e ora i triestini si preparano a celebrare questo avvenimento di sessant'anni fa. Tante fotografie hanno iniziato a uscire dai cassetti in cui erano riposte e mostrano tutte il travolgente entusiasmo con cui la città accolse i soldati col tricolore. Ombrelli neri, impermeabili, fiori, camion con ragazzi in divisa, asfalto lucido, cortei di vetture, bersaglieri, abbracci, sorrisi e lacrime. Tutto questo hanno raccolto gli obiettivi dei reporter che per ore e ore scattarono centinaia e centinaia di immagini lungo il percorso che iniziava a Duino e si concludeva nel cuore della città e nelle caserme delle periferie.

C'era Ugo Borsatti, il decano dei fotografi triestini. «Avevo al collo due Rollei e sulla spalla due pesanti flash elettronici - racconta Borsatti con la stessa emizione di allora -. La pioggia battente mandò fuori uso metà della mia attrezzatura ma riuscii comunque e realizzare ciò che mi era ripromesso. Ricordo la grande corsa lungo la Costiera a bordo di una vecchia Topolino del 1939: dovevo precedere a Barcola l'autocolonna militare italiana che poco prima avevo fotografato a Duino».

Lungo le strade quel giorno erano appostati decine e decine di fotografi, inviati a Trieste da agenzie giornalistiche, quotidiani e rotocalchi. Tra gli "operatori" schierati lungo il percorso delle autocolonne militari i più numerosi e organizzati erano quelli di "Giornalfoto"; secondo gli ordini ricevuti dai titolari Manlio Granbassi e Renato Goina avrebbero dovuto riprendere l'ingresso delle truppe italiane da punti in precedenza stabiliti a tavolino. Una "copertura" totale dell'avvenimento, ma l'entusiasmo della folla mandò all'aria i piani prestabiliti. Gianfranco Cragnolin, poi fotografo della Grandi Motori e della Wärtzila, era appostato accanto al palazzo del Lloyd triestino con tre rullini in tasca, una SuperIkonta Zeiss al collo e un flash monumentale che gli tormentava la spalla. «Avevo iniziato da poco a fotografare e ricordo ancora come lavoravamo: i rollini costavano e Giornalfoto cercava di risparmiare. È stata una grande scuola. Poi di corsa a svilippare e stampare nella vecchia sede di via Fortunio10».

Con Gianfranco Cragnolin erano schierati Andrea Antonini, poi libraio a Gorizia, Giorgio Gherbavaz, Bruno Cisilin e Renato Goina. «L'altro titolare Manlio Granbassi lavorava come giornalista al Piccolo. E quei reporter di in prima battuta rifornivano di immagini proprio il Piccolo che col ritorno della città all'Italia aveva ripreso il proprio nome, abbandonando quello di "Giornale di Trieste" che gli era stato imposto per nove anni dal Governo militare alleato. In strada, con una fotocamera al collo, c'era anche Gianni Anzalone, un professionista dell'immagine poi emigrato in Australia. Una decina di anni fa ha spedito generosamente il suo servizio fotografico sul 26 ottobre 1954 a un giornalista del Piccolo».

In piazza dell'Unità in quel giorno di sessant'anni fa c'era Fedele Toscani, padre di Oliviero che ne ha seguito la carriera: Fedele Toscani ha legato il suo nome al Corriere della Sera e alla fondazione di due agenzie: "Publifoto", avviata con Vincenzo Carrese e poi la sua "Rotofoto". Era a Trieste anche durante i tragici scontri del 1953 e in quei giorni aveva conosciuto e apprezzato Ugo Borsatti. Avevano sviluppato e stampato assieme le immagini dei triestini uccisi dalla Polizia civile. Toscani il 29 aprile del 1945 aveva fotografato e poi ripreso con una cinepresa "Arriflex" i cadaveri di Mussolini e dei gerarchi fascisti appesi per i piedi in Piazzale Loreto e vilipesi dalla folla. Questo suo film ha girato il mondo.

In piazza a Trieste il 26 ottobre 1954 c'era anche Arduino Pozzar, all'epoca titolare di uno studio specializzato in fotografia industriale ed erede di una tradizione iniziata dal padre Ruggero, socio dal 1930 di un altro fotografo Mario Circovich. Alcune sue foto di quei giorni sono uscite dal cassetto qualche giorno fa per iniziativa di un collezionista triestino. Altre foto di quella storica giornata di sessant'anni fa sono state realizzate da Mario Magajna, lo storico reporter del quotidiano della comunità slovena "Primorski Dnevnik". Altre ancora da Adriano De Rota, erede di un'altra dinastia di fotografi triestini: oggi quegli "scatti" sono conservati nella Fototeca comunale assieme alle immagini realizzate da Ugo Borsatti e dagli operatori di Giornalfoto. A Trieste alla fine dell'ottobre del 1954 si riversarono reporter di rotocalchi e agenzie, dell'Istituto Luce, dell'Associated Press e dell'Ansa. È tutto da scoprire invece l'enorme lavoro di documentazione realizzato da tanti dilettanti che spianarono i loro obiettivi da finestre, balconi e marciapiedi incuranti della pioggia e del vento. Tra essi un ragazzo che abitava con la famiglia nello stabile posto all'angolo tra le rive e via Milano. «Avevo 12 anni - ricorda Livio Vasieri - e ho usato la mia Comet Bencini, fotografando ciò che vedevo dalla finestra».

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