La corsa estrema con zaino da 20 chili in spalla Sfida da “forze speciali inglesi” per due triestini

Matteo Sandrin e Alessio Brandi si sono cimentati nella “Fan Dance” in Galles. «Difficile anche fare due passi di seguito fra fango, nebbia, neve» 

I PERSONAGGI



Correre? Si fa per agonismo, divertimento, per mantenersi in forma, già in meno vanno su e giù per i pendii di montagna: ma, se sulle spalle devi caricarti uno zaino di 20 chili, allora il numero di appassionati cala ancora, senza dire dei 24 chilometri da percorrere… Il metro è la “Fan Dance”, tutto meno che una allegra danza: a provarla e, soprattutto, concluderla, anche due triestini, Matteo Sandrin ed Alessio Brandi.

«È la prova di selezione delle forze speciali inglesi – spiega Alessio Brandi – sul Pen y Fan, montagna del “Brecon Beacons National Park” in Galles, con in spalla lo zaino tattico che deve contenere kit medico, acqua, razioni d’emergenza, coperta termica, sacco a pelo, ricambio completo, giubbotto invernale, il poncho antipioggia che può diventare tenda. E alla fine del percorso, il peso, salvo l’acqua, dev’essere lo stesso. Vetta di quasi mille metri, con pendenze ripidissime, come la “Jacob’s Ladder”, che molti partecipanti chiamano “infame”, da percorrere in discesa ed in salita».

Di “danze” ne ha concluse cinque Matteo Sandrin, classe ’74, ex ufficiale dei Lagunari, grande sportivo, che racconta: «La prova risale alla fine della guerra ed è, immutata, la selezione per le forze speciali. La versione “civile” è del 2013, ideata da un ex incursore del Sbs (Special Boat Service, simile al “nostro” Com.Sub.In. della Marina militare), che Walter Colautti, mio ex allenatore dei “Muli”, mi ha fatto conoscere. Da appassionato di storia militare mi ha subito attratto, anche dopo aver letto i libri di Andy McNab ( “Pattuglia Bravo Two Zero” ed “Azione Immediata”) che la ricordano».

Il massacrante percorso sale il Pen Y Fan e, scesa la terribile “Jacob’s Ladder”, prosegue lungo un ondulato tracciato in pietra – la “strada romana” – per poi tornare, risalendo la “Jacob’s Ladder” verso la cima, prima di lanciarsi in una spericolata discesa verso l’arrivo. Il tutto, con lo zaino sulle spalle. «Se non si è provato – dice Alessio Brandi, classe ’75, alle spalle anni di calcio dilettantistico soprattutto nel San Giovanni – è difficile anche far capire cosa comporta. Quando ti inerpichi in salita, maledici la volta che ci hai pensato. Un passo avanti, due indietro, scivolando nel fango, a quattro zampe pur di continuare a salire...». A gennaio, in Galles come minimo piove: «Magari – racconta Sandrin – fosse solo bagnato: è difficile fare due passi di seguito sul sentiero per le pietre che spuntano e guai a distrarsi, con fango, nebbia, neve e ghiaccio sempre in agguato». «In gennaio, alla terza partecipazione – racconta Alessio Brandi – ho provato la notturna: c’era una nebbia che la luce della lampada era inutile ed anzi, riflettendo, rendeva tutto intorno invisibile. Per procedere, dovevo guardare due metri davanti a me per vedere dove mettevo i piedi; nonostante tutto, 8° posto assoluto su 80 partecipanti». «Ci si allena tutto l’anno sul Cocusso – dice Sandrin –, inerpicandosi per la ripida “diretta”: ci si immagina come affrontare la corsa, invece, sul posto, salta tutto per le condizioni ambientali. Ma capita a tutti i partecipanti, spesso anche cinquecento...». E alla fine? «Nessun premio – precisa Alessio Brandi –, solo una pacca sulla spalla, un bravo e una “toppa” da cucire sullo zaino. È un simbolo, guai a chi me lo tocca, la conferma tangibile di aver compiuto comunque qualcosa fuori dall’ordinario». Ricordi? «In un dopogara – racconta Alessio – tutti magnificavano barrette energetiche e integratori: noi ci eravamo portati del parmigiano e qualche nostro affettato per contraccambiare l’ospitalità. In breve si è formata una sola tavolata e... barrette dimenticate. Ormai ci aspettano...».

Resta da capire: perché? «Per mettersi alla prova. Scoperta la gara – dice Sandrin – ho iniziato ad allenarmi senza sosta: cercavo un obiettivo e l’ho trovato nelle mie cinque partecipazioni. Memorabile quella del 2017, avevamo al seguito anche i nostri tifosi...». «Ero in Accademia navale, mi piace molto la storia – racconta Brandi –, mi è piaciuta la sfida: il motto dei Sas è “Who Dares wins, chi osa vince”. Ogni due passi ti vien voglia di lasciar perdere, poi riparti sempre. E c’è anche l’orgoglio di sventolare la nostra bandiera quando arrivi in cima. Troppo bello». —



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