La “ghiacciaia” dell’altipiano fa il pieno di nuovi residenti

Nella frazione più fredda del Carso spuntano come funghi cantieri per case e villette Ma gli autoctoni criticano il traffico. E ricordano quando in paese c’era solo una tv
Di Nicolò Giraldi
Silvano Trieste 18/05/2017 Paesi del Carso, Padriciano, Trebiciano
Silvano Trieste 18/05/2017 Paesi del Carso, Padriciano, Trebiciano

di NICOLÒ GIRALDI

In Carso utilizziamo un termine preciso per indicare un anno molto freddo: hudo leto, che tradotto sarebbe anno tremendo». Parola di Igor Grgic da Padriciano. Stando agli abitanti di questo paese, la zona sarebbe la più fredda di tutto l’altopiano. «In inverno, se il tempo peggiora, normalmente nevica nel tratto tra la curva di Basovizza e il campo sportivo di Padriciano».

Igor è il titolare dell’omonima azienda agricola sulla strada, subito dopo il Golf Club. «Un tempo si viveva di sola terra, c’erano le mlekarice (le portatrici di latte, ndr), le persone avevano le mucche, le stalle e così via. Qui abbiamo iniziato nel 1992 anche se poi la trasformazione in osmiza è arrivata nel 1996; otto anni più tardi si è aggiunta la cucina completando le modifiche che hanno portato all'azienda agricola».

Da quattro anni i Grgic si sono specializzati nell’agricoltura biologica naturale. «Significa che non usiamo pesticidi nella coltivazione e che lasciamo che la natura faccia il suo corso, giungendo da sola al rimedio naturale». La famiglia è titolare del punto di vendita diretta. Grgic è poi uno dei cognomi autoctoni del paese. «Siamo rimasti meno della metà a essere originari di Padriciano. La maggior parte ormai non lo è».

Al di là di resistenze che forse evidenziano anacronismi tutt’oggi presenti, la situazione dal punto di vista abitativo ha visto negli ultimi anni la costruzione di moltissime case nuove. Si possono vedere cantieri lungo la strada e operai che ininterrottamente lavorano grazie al cemento e al desiderio di vivere sul Carso. «In più esiste il problema dei rifiuti, perché non abbiamo posti in cui buttarli. Ogni tanto capita che qualcuno li butti in maniera, diciamo così, non propriamente rispettosa dell’ambiente. Un ulteriore problema è rappresentato poi dal traffico. Gli automobilisti sfrecciano ad alta velocità e infine non ci sono parcheggi».

Tanja è la moglie di Igor e afferma che «Padriciano è una repubblica a sé, è composta da 48 famiglie autoctone». Questo paese è infatti proprietario della chiesa locale in ragione di una causa che gli abitanti avevano vinto ancora nel 1910.

Dal mondo dei Grgic si passa molto facilmente alla rivendita tabacchi, bar e ritrovo paesano di Bojana. «Una volta c’era la televisione e gli abitanti venivano qui per guardarla». Vero, anche se l’esempio potrebbe calzare se Padriciano stesse ancora vivendo gli anni Cinquanta o Sessanta. Il crescente numero di abitanti del paese è dato certamente dal fatto che in molti si sono trasferiti qui dalla città ma anche dalla presenza di Casa Ieralla, casa di riposo per anziani a pochi passi dal centro abitato. Certamente l’atmosfera generale è quella di un paese piccolo, ma che guarda alla sua integrità con decisione.

Padriciano è molto vicino a Trebiciano. La comunità afferma che ci sono molte differenze, anche se a separarli sono veramente pochi metri. Sabina Citter è la presidente del Circolo culturale sloveno Primorec da oltre dieci anni. «Da oltre un secolo siamo all’interno del Ljudski Dom. Durante tutto l’anno organizziamo diverse attività come feste in maschera per i più piccoli, racconti di viaggio con proiezione di fotografie, manifestazioni in occasione della giornata della cultura slovena, laboratori teatrali, ginnastica per adulti e molto altro».

Il suono che la lingua produce è dolce ed accogliente. «Comunque non siamo i soli a portare avanti un calendario di manifestazioni e attività. Negli spazi che la struttura offre infatti sono presenti anche l’associazione bandistica Viktor Parma, l’associazione canora Pevsko Društvo Krasje e la Comunella Jus di Trebiciano. «Non solo. Ci sono anche la Mladinski Trebenski Krozek-Circolo dei giovani di Trebiciano, l’asilo Elvira Kralj e la scuola primaria Pinko Tomazic. Uno dei momenti che gli studenti aspettano con maggiore desiderio è sicuramente l’arrivo di San Nicolò», conclude così Sabina.

Qui resiste una ricchezza di valori sociali ed educativi, che si salda a una forte e precisa identità. Una ricchezza che non ha niente a che vedere con il denaro o con il ricavo di natura commerciale, ma è diretta all'autenticità di elementi che compongono la società carsolina. Decenni fa il Carso non era una terra ricca. «Non lo è mai stata - afferma con decisione Fausto Settimi, apicoltore che produce uno dei mieli più apprezzati dagli addetti ai lavori a livello nazionale -. Il Carso da Borgo Grotta in qua è più povero della zona che va verso Prepotto e gli altri paesi. Cosa gavemo quassù noi? Molte terre sono abbandonate, anche il colore della terra stessa è diverso». C’è una discreta dose di cinismo, nel senso di «dire le cose come stanno e non come dovrebbero essere», come scriveva Oscar Wilde qualche tempo fa. «È vero che questa parte dell'altopiano non è ricca, però la produzione di ottimi prodotti è reale. Io lavoro con le api da ormai 32 anni. Non pratico il nomadismo, nel senso che non porto le api in giro. Qual è il rapporto con gli altri apicoltori? Buono, non penso a giudicare chi è più bravo o chi lo è di meno, non sono interessato a questo tipo di approccio. Credo ci sia chi punta più sulla quantità e chi sulla qualità». Nel 2005 il miele di marasca prodotto dalle api di Fausto è stato dichiarato il miglior miele d'Italia. «Non è chi vende a decidere se il miele è eccellente. Le uniche persone investite di questo ruolo sono quelle che lo comprano e lo degustano. Solo loro possono dirci cosa va bene e cosa invece dev’essere migliorato».

Il colloquio con Fausto fornisce poi il pretesto per approfondire alcuni aspetti della storia del Carso e delle sue comunità. «Padriciano era un paese autonomo; possedeva alcune botteghe, una pescheria, la latteria, il brivez (il barbiere, ndr), aveva persino una levatrice paesana, il suo nome era Anica. Le persone che morivano venivano portate al cimitero di Basovizza, che funzionava anche per Gropada. La processione si faceva naturalmente a piedi e gli uomini portavano la bara del proprio caro a spalla. A memoria di questo esiste un capitello, posto ai margini della strada principale. Quando erano stanchi potevano riposarsi lì». Segni di una stagione passata, eppure vivida nella memoria dei paesani di questi paesi, che poggiano su di una terra povera ma ricca di tradizione.

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