La grande svendita dell’arsenale serbo

BELGRADO. Quelli che da anni sognano di piazzare un bel carro armato d’antan nel proprio cortile per far invidia o paura ai vicini e i trafficanti di materiale bellico che operano sul sempre florido mercato nero si rassegnino. La grande svendita sarà riservata solo alle duecento imprese locali che posseggono una regolare licenza per il commercio d’armi con l’estero. Grande svendita che riguarderà una fetta consistente dell’arsenale dell’esercito serbo, la più obsoleta, che sarà presto messa sul mercato per fare cassa, come annunciato di recente dal ministero della Difesa di Belgrado.
Si badi bene, non si parla di qualche fucile e di un paio di casse da munizioni, ma di centinaia di tank, obici, mezzi da trasporto, quasi tutti con più di mezzo secolo di vita. E sulla lista degli oggetti – o ferrivecchi che dir si voglia - da alienare, si trova veramente di tutto. Da novemila vecchie pistole semiautomatiche M70 a tremila esemplari delle più moderne M84 automatiche, le “Skorpion”, fino ai fucili M70 prodotti dalla Zastava negli Anni Settanta sul modello dell’Ak-47 e ai lanciamissili RBR 90, potenti e ancora oggi utilizzati su vari teatri di guerra, come quello siriano.
Al miglior offerente potranno andare anche quasi 120mila proiettili d’artiglieria, cento missili S-5 da installare su aerei da combattimento, i lanciarazzi M-63 “Plamen”, i Katyusha jugoslavi, tonnellate di vecchie munizioni risalenti a trent’anni fa e più, un migliaio di cannoni contraereo e duecento obici jugoslavi e americani, molti fabbricati addirittura durante la Seconda guerra mondiale. Ma i pezzi forti sono altri. Pezzi come i cinque SNAR-10 di produzione sovietica, veicoli cingolati per la sorveglianza radar molto diffusi negli arsenali degli ex Paesi del blocco socialista, particolarmente apprezzati per loro manovrabilità anche su terreni disagevoli e su neve e fango. O come i BTR-50 e BTR-60, anch’essi “made in Sssr”, veicoli da trasporto corazzati ampiamente utilizzati da Mosca durante la guerra in Afghanistan.
La vera “chicca” della futura asta saranno però i 282 carri armati di produzione sovietica, i T-55, di cui le forze armate serbe hanno definitivamente deciso di disfarsi. Si tratta di tank già esclusi da anni dal servizio perché antiquati e arrugginiti, custoditi in un deposito all’aperto non distante da Belgrado. T-55 che hanno una lunga storia, alle spalle. Furono fabbricati in decine di migliaia di esemplari in Urss, in Cecoslovacchia e Polonia tra gli Anni Cinquanta e la fine degli Ottanta per i Paesi del Patto di Varsavia. Pur essendo fuori dall’alleanza, la Jugoslavia ne acquistò circa 1.500, facendo del T-55 la spina dorsale del sistema di difesa della Federazione.
T-55 che rimangono nella memoria collettiva, non solo nei Balcani, soprattutto per il loro ruolo nelle guerre nell’ex Jugoslavia, quando furono utilizzati da quasi tutti gli schieramenti in Slovenia, Croazia, Bosnia e Serbia. Indelebili i ricordi dei T-55 jugoslavi distrutti dalle forze slovene al confine della Casarossa, a Nova Gorica, quelli in azione a Vukovar, nella Krajina, in Kosovo. I tempi sono cambiati, i vecchi tank non servono più. Tank che, assieme al resto del materiale da dismettere, sono «un surplus non necessario al normale funzionamento del sistema di difesa», ha tenuto a sottolineare in una nota il ministero della Difesa serbo.
Si tratta infatti di mezzi e armamenti «datati», già sostituiti da altri equivalenti, ma più moderni. Nessuna indicazione invece su quando inizieranno i saldi, che saranno condotti «nella massima trasparenza». E sul prezzo, che dovrà essere contrattato di volta in volta con il potenziale acquirente. Acquirenti che, a garanzia che gli armamenti comperati non finiscano in mano a qualche nazione guerrafondaia, dovranno anche specificare a chi rivenderanno i materiali acquistati, provando che l’“utente finale” sia affidabile. Visti i tempi, una condizione quantomeno apprezzabile.
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