La luna nuova “chiama” il maiale nei borghi può iniziare la mattanza

BUIE. Il primo quarto di luna di dicembre è passato, il freddo è arrivato: dunque si può ammazzare il porco. In Istria si sta ancora attenti alle fasi lunari perché non si vuol rischiare che gli...
Di Bruno Lubis

BUIE. Il primo quarto di luna di dicembre è passato, il freddo è arrivato: dunque si può ammazzare il porco. In Istria si sta ancora attenti alle fasi lunari perché non si vuol rischiare che gli insaccati vadano a male e la luna – non è scientifico ma meglio non rischiare – conta eccome nel taglio degli alberi, dei capelli e nei lavori di conservazione dei prodotti. Allora, si va a chiudere l’annata agricola dopo la raccolta delle messi, delle olive e, prima, la vendemmia. Da bere c’è nelle botti, le granaglie sono al sicuro, tocca alle proteine e ai grassi trovar posto nelle cantine delle case dei contadini.

Una mattinata fredda e asciutta, il porco viene attratto da una manciata di granturco e lascia la stalla. Finisce su una specie di portantina di vimini, gambe all’aria. Urla come una creatura mentre quattro o cinque uomini robusti lo tengono fermo per le gambe e per la coda. Il norcino lo trafigge con un coltello che gli oltrepassa il cuore, la donna di casa raccoglie lo zampillo di sangue in una teglia con del sale e mescola per tenere fluido il sangue che servirà per i sanguinacci e, in certe zone, per farci il sugo con le frattaglie e vino rosso: un condimento strepitoso per la polenta nera. La polenta nera che la si può trovare anche nelle zone agricole della Francia profonda sotto il nome di carbonnade.

Un tempo il rito era un vero e proprio sacrificio. Oggi è tutto più asettico: un colpo in testa sparato da un tubo e la bestia stramazza. Poi tutto procede more solito. Acqua bollente sulla cotica per levare le setole, un taglio netto sul sottogola e la testa va appesa, poi il marstro di coltello da fondo alla sapienza dei tagli: il lardo da una parte, la pancetta dall’altra, i cosciotti e le spallette a sopportare il peso che deve far uscire tutto il sangue rimasto nella muscolatura. E poi la divisione dei quarti: per i salami, le luganighe, i musetti con la pelle macinata a uscoli. Le frattaglie rimaste da consumarsi per una sontuosa merenda a pro di chi taglia e impasta, di chi aiuta a macinare, dei visitaori. Festa grande in Istria nel giorno della macellazione del maiale, festa ripetuta nelle famiglie che di maiali ne potevano ammazzare due o addirittura tre. Ci sono zone dove prosciutti e spallette vengono ancora salati con la cotica e quel po’ di grasso che le razze odierne offrono; altre località prevedono il prosciutto magro e senza pelle. Basta che non si abbondi col sale e col pepe.

Un tempo il porco veniva giudicato per le dita di grasso che aveva sotto pelle; oggidì se ce ne resta un dito è già grasso abbastanza. Ma, si sa, siamo in guerra col colesterolo. Le salsicce si posso consumare con i crauti già dopo pochi giorni, le spallette sono pronte per aprile, magari fritte nell’olio d’oliva con uova e asparagi selvatici. I prosciutti saranno mangiati duante la vendemmia dopo otto-nove mesi di stagionatiura prima nelle soffitt, nei giri d’aria, sperando nella bora e nel fresso secco e poi in cantina, nel fresco e umido dei muri scavati un po’ sottoterra. Prima dell’ultima guerra, i maiali non erano questi manstodonti che si troano oggi nelle stalle di campagn. Erano magroni, provenienti al centro Italia e raggiungevano 180 chili nel massimo dello sviluppo. Oggi sono tutti albini, soffrono il sole, la pelle si screpola, ma pesano almeno 60-70 chili in più. Insomma rendono alla macellazione ma i nostri parenti più anziani alzano gli occhi al cielo sol che ricordino il gusto di certi prosciutti mangiati decenni or sono. Potenza dei ricordi e nostalgie della loro gioventù. Certo, piacerebbe anche a noi poter fare un paragone tra i maiali di quel tempo e quelli dei tempi attuali.

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