LA PARTITA È TUTTA POLITICA
La vicenda Alitalia sembra voler sfuggire al proprio epilogo. Però i tempi sono stretti. Ed il rischio di soluzioni pasticciate è alto. E lo stesso vale per i rischi di fallimento di Alitalia medesima. Per questo il mondo della politica si agita. Il governo perché, avendo puntato su Cai (la cordata tricolore), vi insiste temendo altrimenti di perdervi la faccia. L'opposizione fa altrettanto paventando, dinnanzi ad un epilogo negativo per la compagnia, di trovarsi imputata, per il "no" di Cgil (invero solo un onesto escludere a nome di dipendenti - piloti ed assistenti di volo - rappresentati da altri sindacati) all'accordo che avrebbe fatto partire Cai. In definitiva, la "questione Alitalia" resta molto politico/partitica; e questo, da sempre, ne condiziona la politica industriale.
D’altronde, nei "casi cruciali" la separazione tra mercato e politica è vaga. In questo quadro va valutata la lettera di Veltroni al presidente del Consiglio. Ovviamente tesa a ribadire, se Alitalia affonda, le responsabilità della Destra: prima, all'opposizione, per la guerra all'accordo con Air France; poi, al governo, per avere puntato "troppo" su Cai. Ma pure a riaprire canali di diplomazia politica per scongiurare la fine della Freccia alata. Insomma, è la classe politica nel suo insieme a temere le conseguenze su di sé del fallimento di Alitalia. E cerca di porvi rimedio.
Ed è altrettanto logico che tutto ruoti ancora su Cai. Per due ordini di ragioni. La prima è che il governo la considera un po' la sua "linea del Piave". Anche perché ad essa in campagna elettorale ci si è, con un po' di masochismo, ammanettato. E a ciò va aggiunta un'altra ragione, peraltro a essa consequenziale. Ed è che "i fili di quei negoziati con soggetti esteri" (così auspicati dalla lettere di Veltroni) sono oggi difficili da tessere per ragioni di convenienza economica. Nel senso che, permanendo il ritiro dalle trattative di Cai, quindi correndo Alitalia verso il fallimento, i suoi asset (la polpa della compagnia) perderebbero valore.
Ed è facile che oltralpe ci si chieda perché comprare oggi ciò che si può pagare meno domani? In qualche modo, quindi, il governo a ragione a dire che allo stato delle cose i compratori stranieri latitano. Ma è un po' un autogol. Perché fino a oggi la volontà politica era tutta su Cai. E il bando di ieri ("tardivamente pubblicato", per Veltroni) del commissario Fantozzi appare "debole" - dati generici sulle opportunità di business - per smuovere eventuali Cavalieri Bianchi in soccorso di Alitalia.
E così il rischio di fallimento cresce, aggravato dalle minacce che l'Enac ritiri le sue "licenze di volo". Strano, visto che è proprio la legge sulla "procedura Alitalia" a garantirle fino al febbraio 2009 anche in caso di insolvenza della compagnia. Si vorrebbe che il Commissario qui rompesse il suo silenzio. E lo stesso vale sul tema della liquidità, garanzia di quella "continuità aziendale" necessaria per il ben alienare Alitalia. Anche perché, a tutela di creditori e maestranze, l'azienda malata può accendere nuovi debiti (prioritari sui precedenti nell'estinzione) per quella sopravvivenza utile alla sua stessa cessione.
Che poi Cai torni in gioco, ora pare in stand-by, è altro discorso. L'importante è uscire al meglio dall'attuale air crash italico. Ma senza raccontarci la favola che così avremmo ancora una compagnia di bandiera. Essa è già sparita. Perché Alitalia ormai da tempo era in fuga dalle rotte globali. Anzi, è proprio la follia di puntare troppo alle rotte interne (con i competitor a fare l'opposto) ad aver creato, molto più del costo e la produttività del lavoro, l'attuale crash. La posta in gioco ora è semplice: collocare al meglio il "buono" di Alitalia: marchio; aerei (in parte); portafoglio di slot (permessi di decollo). La palla passa al Commissario. Se il Palazzo (bipartisan) lo lascerà agire.
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