La semina del mais divorata dai cinghiali Trattori e fari barriere di notte nei campi

. Hanno zampe corte e irsute, ma lestissime nel dissodare zolle di terra, dissotterrare semi di mais e radere al suolo terreni agricoli. A ettari, così, in una manciata di ore ne sono stati mangiati. Letteralmente. Da due settimane infatti i cinghiali spadroneggiano sui campi, saccheggiando almeno tre distinte coltivazioni. Fossalon, e non solo, sotto assedio. Gli agricoltori, costretti a levatacce, fino a cinque nel corso d’una sola notte come è stato per Daniele Saccon («Ormai non dormo più»), corrono ai ripari con speciali cannoni, fari di auto e mettendo in moto i trattori, ma niente. Gli ungulati ne sanno una più del diavolo, non temono nulla. Qualcuno, dopo due semine andate in fumo, ha rinunciato e quest’anno produrrà soia. Qualcun altro ritarda la piantumazione: ma non si può rimandare sine die, perché se il mais non attecchisce in profondità, con salde radici, non supererà l’estate.
Ad aggravare il quadro, il fatto che «molti dei contadini abbiano rinunciato – come racconta Roberto Balduit, uno che ha iniziato a lavorare la terra a 14 anni e oggi ne ha 54 – a utilizzare una tipologia di seme, con concia Mesurol, che risultava repellente anche ai cinghiali oltre che a fagiani e germani, così i nuovi chicchi impiegati, privi della sostanza e appetibili, determinano “stragi” nei campi ancor più rilevanti». È accaduto per via della maxi-inchiesta che a Udine ha visto indagati centinaia di agricoltori friulani per l’utilizzo di sementi conciate senza adeguate misure preventive. La Procura ipotizza che il Mesurol 500 Fs, fitofarmaco con Methiocarb, sia in qualche modo responsabile della moria di api nelle arnie. Di qui la rinuncia a usare sementi conciate, per non incappare in guai con la Forestale.
Già due coltivatori hanno denunciato i raid di cinghiali dei giorni scorsi alla Regione, per ottenere un risarcimento: solo in un caso, quello del coltivatore Bruno Bigolin, il danno della scorribanda notturna delle truppe selvatiche, apparentate ai suini, ammonta a 3 mila euro. Piccolo inciso: per un ettaro di terreno servono 65 mila semi di mais. Tre sacchi da 25 chili di chicchi, del costo di 195 euro più Iva. Per un campo di cinque ettari si spende quindi un migliaio di euro solo per le sementi. Questo per dare un’idea del danno economico minimo. Vanno poi messi in conto concimi e preparazione del terreno, senza scordare le ore di lavoro dall’aratura in poi. Una faticaccia. Che in uno spicchio di notte svanisce.
«Ho sette ettari di campi – spiega Saccon – e tutti sono stati visitati, con danni al 30-40% della semina, quest’anno senza concia. Negli ultimi 15 giorni, per far fuggire i cinghiali, ho messo al lavoro di notte tre trattori, alzandomi fino a 5 volte. Non sono mai riuscito a vederli in azione, eppure si sono mangiati tutto quel mais, con cui io dovrei vivere. Ho seminato venerdì, la domenica sono partite le incursioni. E sicuramente accadrà lo stesso con altri tipi di coltivazione: sono animali incontenibili e numerosi». Balduit, che per ora attende di partire con la semina, ha l’abitazione vicino a un boschetto e ha contato dal suo trattore 23 esemplari, «ma saranno una quarantina in circolo: purtroppo viviamo in un Paese in cui finché non ci scappa il morto nessuno fa nulla». Non è possibile ridurre la popolazione perché la caccia è sospesa fino al 15 maggio. «Quella volta – sottolinea Balduit – sarà però troppo tardi per piantare il mais, le cui radici devono allungarsi in profondità per resistere alla siccità». «Ho cominciato due lunedì fa e già seminato due volte – conclude invece Bigolin –: i cinghiali hanno mangiato tutto. Col mais ho chiuso, pianterò soia, più oleosa e meno appetibile. Ho denunciato danni per 3 mila euro su tre ettari. ’Ste bestie sono come Attila: dove passano non cresce più nulla». –
Riproduzione riservata © Il Piccolo








