La storia della Galleria rifugio risveglia i ricordi delle bombe «Negli adulti vedevi la paura»

Nuove testimonianze riaffiorano aspettando la presentazione del libro Giorgio Papa nel 1944 aveva 5 anni: «Pensai fossero fuochi d’artificio» 

la memoria



Giorgio Papa di anni ne aveva solo 5 quando, alla fine dell’inverno del 1944, iniziarono a cadere le prime bombe su Monfalcone, bersaglio degli alleati per il cantiere navale e la linea ferroviaria. «A me sono sembrati fuochi d’artificio, almeno la prima volta – racconta –. Poi la paura arrivava dagli adulti». Papa al tempo abitava in una delle Case Spaini, in via Valentinis, pesantemente danneggiate nell’incursione del 19 marzo. Gli ordigni, secondo i suoi ricordi, caddero all’incrocio tra via Valentinis e via Tartini, danneggiando la cooperativa del villaggio Solvay e l’asilo gestito da religiose. «Quella volta non riuscimmo a raggiungere il centro – spiega – e quindi trovammo rifugio in uno dei ricoveri realizzati verso la linea ferroviaria». Sono ricordi che ritornano davanti al nuovo lavoro di ricerca sulla galleria rifugio.

L’abitazione dei Papa non fu distrutta, ma danneggiata sì e quindi la famiglia si trasferì in pieno centro, in via dei Rettori, a due passi dal duomo, accolta da parenti. Quando scattarono gli allarmi successivi, la fuga fu quindi immediata verso la galleria rifugio scavata sotto il colle che sale alla Rocca e che era accessibile da piazza della Repubblica, dove ora si trova la gradinata di salita Granatieri. È proprio all’ingresso del rifugio che il primo maggio del 1944, stando alle relazioni della Tenenza di Monfalcone e della Legione territoriale di Trieste, si creò una situazione di forte panico in cui vennero travolte e calpestate cinque persone, che nell’incidente persero la vita. «Da quanto mi ricordo io la calca all’imbocco del tunnel che provocò alcuni morti avvenne nelle prime ore del 12 aprile», aggiunge Papa. Nella testimonianza di Marina Zucco raccolta da Pietro Commisso e Maurizio Radacich nel volume “La Galleria rifugio di Monfalcone”, che sarà presentato giovedì alle 17.30 a Panzano, la paura si scatenò tra le persone che stavano uscendo, dopo il cessato allarme, quando qualcuno gridò che gli aerei stavano ritornando. Di certo Papa c’era e se lo ricorda, come si ricorda dell’esplosione che sconquassò la galleria poco dopo la mezzanotte del 24 agosto del 1945, quando qualcosa andò storto per alcuni recuperanti che si erano introdotti nel tunnel dove si trovava ancora un deposito tedesco di ordigni. «Lo scoppio scagliò delle pietre fino alla sede della Cassa di risparmio di Trieste, dove ora c’è l’Unicredit, dall’altra parte della piazza», racconta Papa. Secondo i ricordi di Maria Gerzeli Benes, raccolti da Commisso alcuni anni fa, lo scoppio avrebbe potuto avere conseguenze ben peggiori, perché in piazza fino a poco prima si stava svolgendo una manifestazione che aveva richiamato molti monfalconesi. A monte i bombardamenti pesanti che pure colpirono in modo massiccio il cantiere navale e Panzano. Ad avvisare la popolazione i sistemi di allarme installati in città e i volontari che avevano aderito all’Unpa, una sorta di Protezione civile del tempo. «Gli allarmi in qualche modo funzionavano, anche se erano basati su sistemi rudimentali – dice Papa –. Non c’erano radar per rilevare gli aerei, se non gli aerofoni». Strumenti di rilevamento sonoro direzionale in grado, in parte, di sostituire l’uso del radar non stemperando però la paura. —



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