La tazzina di caffè al bar vola a un euro
Il vicepresidente degli operatori triestini Fabian: «La materia prima incide solo per il 15%»

Chi si lascia quotidianamente andare al piacere della più classica tra le tradizioni italiche in campo culinario - il caffè al bar - se ne sta amaramente rendendo conto: il caro-tazzina c’è e si sente.
Ormai si veleggia verso l’euro per potersi gustare un «nero» al banco: una cifra fino a qualche anno fa impensabile. Tutti gli esercizi pubblici cittadini, infatti, hanno ritoccato all’insù il prezzo dell’espresso: pagato al massimo 85 centesimi nel 2007; 95 centesimi o 1 euro oggi. Sembrano spiccioli ma non è poco, soprattutto se l’appuntamento viene replicato scientificamente ogni giorno.
Ma non basta. La tazzina, oltre a essere salata, è anche «selvaggia»: la deregulation regna sovrana, e ogni esercente si fa i conti in tasca senza curarsi del listino del vicino. È da dimenticare, infatti, la storica dicotomia tra caffè in centro e in periferia, perché le differenze non sono così eclatanti. Anzi, in alcuni casi i prezzi coincidono.
Un esempio? Al Caffè degli Specchi, una delle roccaforti della tradizione caffeicola triestina, radicato da decenni nel salotto buono di piazza Unità, l’amata tazzina costa 90 centesimi: tanto quanto quella di numerosissimi bar periferici disseminati tra viale D’Annunzio, via Baiamonti, via dell’Istria, via Piccardi, viale Miramare, piuttosto che Cattinara e Roiano. Il bar Vatta a Opicina va addirittura più in alto, con espressi al banco a 95 cent. Un prezzo che supera anche quello di un altro storico caffè triestino, il San Marco, dove il «nero» vale 90 centesimi.
Bar vicinissimi, magari sulla stessa strada o piazza, e magari anche simili negli arredi o nel servizio offerto, vendono la gustosa miscela a prezzi molto diversi. Si arriva fino alla cifra tonda di 1 euro, ad esempio, a due passi da piazza Unità, al Caffè Tommaseo o alla Portizza.
La «tazzina selvaggia» la dice lunga sulle politiche adottate dagli esercenti. Aiuta cioè a spiegare che «i rincari non sono tutti uguali, e variano da bar a bar», per dirla con le parole di uno che da anni mastica bene la materia come Massimiliano Fabian, vicepresidente dell’Associazione del caffè e del Trieste Coffee Cluster.
«Un aumento dei prezzi è fisiologico - spiega Fabian -, legato all’inflazione. Ma voglio sottolineare che la materia prima, cioè la polvere di caffè, incide solo marginalmente sul costo finale, al massimo per il 15%. Ciò significa - continua Massimiliano Fabian - che i rincari sono principalmente dovuti all’aumento dei prezzi di tutti i servizi accessori legati alla gestione del bar: elettricità, affitti, interessi su eventuali debiti, solo per citarne alcuni. Non è stato il costo del chicco nero a schizzare alle stelle: ci sono tanti fattori che contribuiscono agli incrementi complessivi».
Ma Fabian analizza ulteriormente la questione: «Ricordiamoci che in Italia la tazzina di caffè è tra le più economiche al mondo. Da altre parti, anche in Europa - afferma ancora il vicepresidente dell’Associazione del caffè - i prezzi sono nettamente superiori. Evidentemente questo accade perché il rituale del caffè al bar è molto radicato nel nostro stile di vita. Gli elevatissimi consumi tengono i prezzi bassi».
Al di là dei commenti tecnici, però, il dato di fatto è uno solo: la «quotazione» della tazzina corre verso l’alto a gran velocità. Alcuni esempi. Caffè san Marco due anni fa: 80 cent, contro i 90 di oggi. Caffè Tommaseo: due anni fa 85 cent; oggi 1 euro. Caffè degli specchi: 80 cent contro gli attuali 90. Proporzioni simili a quelle di tutti gli altri bar meno blasonati della città.
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