La triestina Martina Oppelli chiede di morire: «La mia una scelta d’amore»

TRIESTE «La mia non è una scelta di disperazione, ma una scelta d’amore verso la vita che ho avuto», dice con voce flebile, appena amplificata dal microfono retto per lei dall’avvocata che la assiste nella sua lotta.
Martina Oppelli si presenta alla stampa a Trieste per la prima volta da quella richiesta, divenuta pubblica, di essere lasciata libera di morire.
L’appello al Parlamento
«Io mai avrei scelto di essere malata, mai avrei voluto prendere la decisione di suicidarmi», premette subito, rispondendo alle domande impossibili da pronunciare. «Ma adesso sono esausta, esaurita, sono satolla di vita», dice ripercorrendo le sue stesse parole nel video appello diffuso una settimana fa dall’associazione Luca Coscioni e rivolto al Parlamento, perché le venga riconosciuto il diritto al suicidio medicalmente assistito finora negatole dall’Azienda sanitaria.
Io sono satolla di vita: e ora che la fatica ha superato la gioia, ho il diritto di non farcela più
Ripete la donna, comunicando di aver ricevuto il via libera dalla clinica svizzera cui, in assenza di risposte dalle istituzioni italiane, si era rivolta per procedere con l’eutanasia.
La storia di Martina
Martina Oppelli, triestina di 49 anni, si presenta come una donna precisa, ordinata, di assoluta dignità. È architetta, professione che continua a esercitare servendosi dei comandi vocali.
Racconta la sua disabilità citando filosofi e scrittori. Invita i ragazzi a «leggere e studiare: solo così avrete la libertà di scegliere come sto facendo io». Incoraggia chi ha appena ricevuto la diagnosi perché
Vivere con la sclerosi è possibile: provateci, non migliorerà mai, ma quando un giorno non ce la farete più sappiate che potrete scegliere
Martina Oppelli è distante dall’immagine spesso associata alle persone come lei affette da sclerosi multipla secondaria, una malattia senza cura che l’ha resa tetraplegica e le reca incessanti spasmi diffusi su tutto il corpo, di cui ora «non possiedo più alcuna privacy perché ho bisogno di aiuto anche solo per lavarmi i denti».

La sofferenza incurabile
Il viso però non tradisce questa sofferenza, né la mente «lucida e consapevole nonostante i forti antidolorifici da cui dipendo», ma è ordinato, incorniciato da capelli biondi ben pettinati. Il rossetto rosa sulle labbra mosse a fatica, il rimmel senza una sbavatura perché, dirà poi:
Io non posso piangere, se piango mi strozzo con la mia stessa saliva: per questo non mi vedrete piangere, ma sempre sorridere
Martina Oppelli sorride, con lo stesso «sorriso sul mio viso» con cui chiede di morire tramite il suicidio assistito negli spiragli della sentenza 242 del 2019 della Corte costituzionale.
La lotta senza fine
Al fianco della donna, nella saletta sul retro dell’Antico Caffè San Marco, ci sono le sue avvocate Filomena Gallo, segretaria dell’associazione Luca Coscioni, e Francesca Re, del collegio legale costituitosi.

Le reggono il microfono, la aiutano a bere con una cannuccia, ripercorrono con lei i passi della sua lotta: la prima richiesta inviata l’estate scorsa all’Azienda sanitaria perché fossero verificate le sue condizioni di salute, i «continui solleciti», fino al diniego della commissione medica per la quale Oppelli non risponderebbe di uno dei requisiti della procedura resa legale dalla sentenza “Cappato”, ovvero il trattamento di sostegno vitale, non dipendendo la donna da un macchinario. La diffida, quindi, e il ricorso d’urgenza, perché Asugi rivaluti le proprie decisioni.
Il precedente di Anna
«Illegittime», dicono le avvocate, perché meno di un anno fa la stessa Azienda aveva invece riconosciuto il diritto al fine vita a un’altra donna, Anna, affetta dalla sua stesa malattia e come lei dipendente non da macchinari ma dalle cure di terzi: e così dopo mesi di attesa e una sentenza del Tribunale di Trieste, il 28 novembre scorso Anna è riuscita a morire per autosomministrazione di farmaco letale nella sua casa, circondata dai famigliari rimasti nell’anonimato ma ieri accorsi alla conferenza, per dare il proprio sostegno a Martina.
Il sostegno vitale
«Io non sono tenuta in vita da un macchinario, ma dipendo completamente dall’assistenza di terze persone», dice Oppelli, raccolta nel suo pullover a righe sopra una camicia bianca, infilatale nei pantaloni dalle badanti «senza le quali non sopravvivrei»: come quando è rimasta abbandonata per 16 ore a letto, da sola, «e mi ritrovarono tra le mie feci e l’urina, affamata, assetata, rigida come il cemento perché senza aiuti non riesco neanche a prendere le mie medicine».
Una scelta d’amore
Martina Oppelli oggi è «esausta, esaurita» da una patologia che è diventata «una spada di Damocle sulla mia testa», da una sofferenza divenuta «insopportabile» nonostante l’«assistenza eccellente» e le cure palliative cui ha pieno accesso. Eppure, precisa, «non sono stanca della vita», perché «la vita è stupenda e va rispettata» e «io ho vissuto con dignità e speranza, come una donna curiosa», circondata da «libri che non riesco più a sfogliare» e «persone tremendamente interessanti». E anche se deciderà di smettere di lottare per il suo «diritto a non farcela più» nella sua casa e sarà costretta alla disobbedienza civile, a recarsi in Svizzera,
La mia non è una scelta di disperazione, ma una scelta d’amore per la vita che ho avuto
RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Piccolo