La triestina più anziana è Albina Obersnu Oggi compie 107 anni

Nata in un appartamento all’ultimo piano del Carciotti Chiari i ricordi: «Sotto l’Austria però sì che si stava bene»
Di Patrizia Piccione
Silvano Trieste 03/11/2012 La Signora Albina Andrighetti, 107 anni
Silvano Trieste 03/11/2012 La Signora Albina Andrighetti, 107 anni

Segni particolari: maratoneta. Albina Obersnu, vedova Andrighetti, all’anagrafe la portabandiera degli ultracentenari triestini, compie oggi 107 anni. E l’elisir di lunga vita di questa inossidabile signora nata il 4 novembre 1905, in piena Belle Époque, in un appartamento all’ultimo piano di palazzo Carciotti (quella che oggi chiameremmo una mansarda), che ha attraversato tutto il ‘900 e i primi dieci anni del nuovo millenio, a “passo” molto sostenuto. E, non fosse per la recente perdita della vista, unico acciacco di questa indomita nonna dal patrimonio genetico stellare - non prende medicine, mai avuto problemi di colesterolo, un elettrocardiogramma, appunto, da maratoneta, e esami del sangue da far invidia a un trentenne – vorrebbe ancora poter scorrazzare in lungo e in largo in Carso. Come ha fatto fino ai 104 anni, quando coltivava anche, assieme alla nipote Rossella e alla figlia Grazia con cui ora vive in via Romagna, l’altra sua grande passione, l’opera lirica. Del resto, il papà era corista del Teatro Verdi, e quindi aveva assorbito praticamente per osmosi il Belcanto sin da piccola.

«Ah, sotto l’Austria però sì che si stava bene! A Trieste non mancava niente, ed era una città che sotto l’impero austro-ungarico godeva di un prestigio, che ora se lo sogna. Certo poi, con l’epoca più moderna c’erano, e ci sono, più lussi. Quando ero piccola io avevamo ancora le candele in casa», ricorda con una punta di rammarico, scivolando poi nel periodo della Grande guerra, di cui ha ancora vivo il sapore della fame. Ma siccome Albina era un tipino molto sveglio e intraprendente, facendo di necessità virtù, mette in movimento i polpacci allenati e il fiato da podista, per procurare (lei, la più piccola di cinque, tra fratelli e sorelle) il cibo alla famiglia. Come? In modo decisamente ingegnoso quanto pure faticoso per una esile fanciulla che, visti i tempi, non era certo palestrata: andando cioè a piedi fino a una fattoria a Hrpelje, a occhio e croce un bel po’ di ore di cammino, trascinando con se un carretto a “baliniere”, cioè con i cuscinetti a sfera di metallo, dove barattava suppellettili di casa con lardo, patate e verdure.

Non se ne è stata con le mani in mano nemmeno gli anni a cavallo tra le due guerre. Dotata di senso estetico e grande manualità, diventa modista, e oltre a occuparsi del marito Arno, ufficiale del Lloyd Triestino, e delle due figlie, confeziona cappelli e bambole Lenci. Di costituzione minuta ma con grinta da vendere, si prende cura da sola della famiglia anche durante la Seconda guerra mondiale, poiché il marito ha la sventura, subito all’inizio del conflitto, di essere catturato in India. E internato fino alla fine della guerra in un campo di prigionia; lo stesso, come ricorda la figlia Grazia, in cui venne detenuto il protagonista del film “Sette anni in Tibet”.

Stavolta Albina Andrighetti il tragitto da Scala Bonghi - dove si è trasferita da sposina novella e, in attesa di tempi migliori, ospita i genitori e due fratelli - al terreno coltivato a frutta e verdura sopra Capodistria, lo fa di buona lena in sella a una bicicletta. «Pedalare mi è sempre piaciuto, ma camminare ancora di più, soprattutto in montagna, tra i boschi. In verità, una volta lo si faceva anche per uscire la domenica dalla città. Non c’erano tanti mezzi pubblici e, quindi, se volevi farti la gita in Carso, non avevi alternative», aggiunge nonna Albina che nel 2010 ha partecipato al pranzo organizzato all’ex pescheria per festeggiare i triestini over 100.

La salutare abitudine alle camminate l’ha mantenuta fino a pochi anni fa, soprattutto nella casa di montagna sul Cansiglio, dove trascorreva le estati. «Pedule e bastone da camminata e via lei, su per i sentieri come uno stambecco, senza un minimo problema di pressione dovuto all’altezza, cosa di cui nemmeno il suo medico si è mai capacitato», confermano nipote e figlia. “Mens sana in corpore sano”, un proverbio cucito su misura per lei, vista l’assenza di magagne fisiche e la memoria intatta. Con l’unico cruccio, oggi, di non vedere, e di doversi accontentare di passeggiare tra le mura domestiche.

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