L’Adriatico orientale e gli italiani: dibattito con Spadaro e Menia

Furono loro a lavorare per mesi all’organizzazione del confronto che nel marzo del 1998 vide sul palco del teatro Verdi la sinistra di Luciano Violante, allora presidente della Camera, e la destra di Gianfranco Fini, al tempo presidente di Alleanza Nazionale: un evento che fu tappa importante del processo di riconciliazione delle memorie divise sul Novecento del confine orientale. Perché loro, Stelio Spadaro e Roberto Menia, di questi temi hanno sempre discusso, pur partendo da posizioni diverse: «il comunista e il camerata», scherza oggi l’ex segretario nazionale del Fuan.
In passato il professore di liceo e il suo studente, e poi il segretario del Pds triestino e il deputato di An, parlavano di passato e presente da ricomporre in vista del futuro. E ora che il clima è profondamente mutato, ora che il Giorno del Ricordo ha portato il riconoscimento dell’Italia alla «complessa vicenda del confine orientale», ora che l’Europa ha abbattuto i confini, è proprio il futuro quello su cui puntare l’attenzione. Spadaro e Menia lo faranno oggi, in un dibattito in programma alle 18 al Caffè San Marco che, sotto l’egida dell’Irci, vedrà intervenire anche Gaetano Bencic dalla Comunità degli italiani di Torre. Tema: “Gli italiani dell’Adriatico orientale e la costruzione dell’Europa”. Italiani, appunto, non più esuli e rimasti: «Termini e concetti che oggi credo vadano superati», dice l’ex parlamentare: «Perché se è vero che le storie di dolore personale non si chiuderanno mai, è anche vero che di esuli e rimasti a poco a poco ci saranno solo i nipoti: la distinzione finirà. E allora, anziché fermarsi alle sterili rivendicazioni, bisogna porsi piuttosto il tema di una presenza italiana che si riforma oltre le vecchie categorie. Un qualcosa che si costruisce con una rinnovata presenza culturale, di lingua, di economia. Ecco, da buoni italiani - aggiunge Menia - penso che tanto da destra quanto da sinistra si possa pensare a trovare dei percorsi, capire come si gioca il futuro di queste terre».
Terre che l’Europa appunto ha riunito. «Oltre gli esuli e i rimasti. Finora - aggiunge Spadaro - gli istriani, i fiumani e i dalmati sono sempre stati considerati come un peso, un residuo del passato, laddove invece molte cose essi possono insegnare, ossia l’identità come scelta civile e non come marchio etnico». Un concetto questo su cui secondo Spadaro risulta utile soffermarsi anche dinanzi a spinte antieuropeiste, o ai «micronazionalismi etnici che possono risorgere»: «L’identità come scelta personale in un carattere plurale, sulla base della propria storia e delle proprie esperienze personali. È questo il modo migliore per battere eventuali rinascenti nazionalismi. L’esperienza istriana, fiumana e dalmata ci può aiutare moltissimo a comprendere». E anzi, aggiunge Spadaro - che negli anni si è speso molto per il riconoscimento “a sinistra” della storia del confine orientale - «abbiamo trascurato un patrimonio civile molto complesso e utile, che oggi può dare una mano alla costruzione dell’Europa. E noi giuliani - conclude - dobbiamo toglierci dal complesso di essere vittime al traino, per dare invece una spinta». (p.b.)
Riproduzione riservata © Il Piccolo








