L’Aja assolve l’ex premier del Kosovo

BELGRADO. «Questa Corte la giudica non colpevole per tutti i capi d’imputazione, ordina che lei sia liberato dall’unità di detenzione dell’Onu». Così il giudice sudafricano Bakone Justice Moloto ha proclamato ieri l’innocenza del comandante dell’Uck e già premier kosovaro, Ramush Haradinaj. È la seconda volta, la prima fu nel 2008, che Haradinaj viene assolto dal Tribunale penale per l’ex Jugoslavia. Assolto dalle accuse di gravi crimini di guerra compiuti dopo il 1998, fra cui omicidi e torture contro civili serbi, rom e albanesi “collaborazionisti”.
Il Tpi ha fatto cadere ogni addebito anche nei confronti di Idriz Balaj e Lahi Brahimaj, sottoposti di Haradinaj nell’Uck, l’Esercito di Liberazione del Kosovo. Il verdetto rappresenta «la prova più lampante che l’Uck non ha mai perpetrato i crimini ingiustamente ascritti», ha gioito dopo la sentenza il premier kosovaro Thaci, anche lui ex comandante Uck. Una sentenza che, tuttavia, lascia aperti molti interrogativi. «Qualcuno verrà mai condotto davanti alla giustizia per quei crimini?», crimini che il Tpi ha confermato furono commessi, si è chiesto John Dalhuisen di Amnesty International. Difficile che accada, dopo che Brahimaj, Balaj e Haradinaj sono stati definitivamente scagionati. Scagionati con una decisione sui cui pesa l’assenza di prove concrete a carico dei tre imputati. Un’assenza che l’accusa aveva attribuito – convincendo così la Corte d’appello del Tpi a dare luce verde nel 2010 alla revisione del procedimento -, «all’intimidazione dei testimoni che aveva inquinato il processo». Da parte sua, con l’assoluzione in tasca, Haradinaj ha già annunciato che farà un ritorno trionfale in politica. Obiettivo, la carica di premier del Kosovo. Kosovo dove ieri folle esultanti hanno festeggiato la sua liberazione con fuochi d’artificio e colpi d’arma da fuoco sparati in aria. «Haradinaj tornerà a riprendere la posizione che gli spetta di diritto, quella di leader politico del Paese», ha confermato ieri Ben Emmerson, avvocato difensore dell’ex primo ministro kosovaro. Una posizione, quella di premier, abbandonata dopo soli cento giorni, nel 2005, proprio a causa del procedimento dell’Aja. «Sono triste per non poter più lavorare con un partner e con un amico», aveva allora affermato il rappresentante dell’Onu in Kosovo, Soren Jessen-Petersen. «Capisco la rabbia della gente del Kosovo per questo sviluppo», aveva aggiunto, con una dichiarazione che aveva avvalorato agli occhi di molti la vicinanza, forse eccessiva, dell’Onu verso colui che è ormai a tutti gli effetti un ex sospetto criminale di guerra e un uomo libero. Un uomo libero che ha causato un terremoto, in una Belgrado ancora attonita per il verdetto su Oluja. Un verdetto «di un tribunale istituito per processare i serbi», da cui «è ora i serbi escano», ha reclamato il presidente Nikolic. Una sentenza «politica», l’ha bollata il premier Dacic. Un giudizio che, assieme al dialogo Serbia-Kosovo, mette a serio rischio anche la riconciliazione e la stabilità dei Balcani. (s.g.)
Riproduzione riservata © Il Piccolo