L’amata Istria diventò la sua tomba Il tragico destino della giovane Olga

RONCHI DEI LEGIONARI. La recente occasione del Giorno del ricordo, della riflessione sul dramma degli esuli e delle foibe, ha dato modo di fermarsi e non dimenticare, una volta di più, questo drammatico pezzo della storia del Novecento. E in questo contesto si inserisce a pienissimo titolo la cerimonia che l’amministrazione comunale di Ronchi ha promosso all’interno della Tenuta di Blasig. Qui, vicino alla cappelletta della settecentesca villa di via Roma, dal giugno del 2008, grazie al volere del Comitato provinciale dell’Associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, trova posto una targa in memoria di Olga Blasi, ronchese, una delle tante vittime delle foibe. Il fronte reca impressa una frase di Ugo Foscolo: “Tu non altro avrai che il canto del figlio. O materna mia terra, a noi prescrisse. Il fato illacrimata sepoltura”.
Non un caso, visto che il corpo di Olga Blasi, nata a Vienna nel 1914, morta in circostanze tragiche nell’alta Istria nel 1943, non è mai stato recuperata. Anche se, in base ad alcune testimonianze, non sembra ci sia dubbio sul fatto che la giovane donna abbia trovato la morte in una delle foibe che furono il tragico destino di molti. «Nell’abisso Bertarelli di Raspo, località dell’alta Istria ad est di Pinguente – scrive Guido Rumici nel suo libro “Infoibati” – le informazioni raccolte sul posto facevano ritenere plausibile la presenza di otto, dieci salme e tra queste quella della signorina Blasi di Ronchi. Ma nessuna operazione è stata effettuata».
Era una ragazza moderna, Olga Blasi, figlia di Alessandro Blasig, primo podestà di Ronchi, fondatore del Corpo dei pompieri e, tra l’altro, protagonista della donazione, ai primi del Novecento, del terreno sul quale sorge piazza Unità d’Italia, su cui si affaccia il Municipio. Era la sorella maggiore di Helga Blasi, classe 1923, madre di quella Elisabetta che, oggi, tiene salde le redini dell’azienda agricola fondata oltre 200 anni or sono. Una ragazza solare, che sapeva andare in macchina e che, come viene ritratta in una foto appesa all’interno della tenuta, giocava a polo.
La famiglia, allora, aveva dei possedimenti anche in Istria ed è li che Olga si diresse negli anni della Seconda guerra mondiale. La sua presenza non passava inosservata e fu allora che venne notata da un ufficiale croato che, in qualche modo, la costrinse a diventare la sua amante. Ma il fatto di essere una giovane rampolla di una famiglia benestante e che suo padre fosse un proprietario terriero furono, con ogni probabilità, due aspetti che contarono molto sulla sua condanna a morte, consumata in una foiba oscura dalla quale il suo corpo non fu mai recuperato.
Fu una perdita davvero tragica, quella che dovette sopportare la famiglia Blasig, tanto che proprio Helga, scomparsa alcuni anni or sono, da allora non volle più mettere piede in Istria e in quelle terre che videro la morte della sorella. Dieci anni fa, come detto, proprio l’Anvgd, presente nei giorni scorsi con il consigliere Spartaco Ghersi, ha voluto realizzare una targa in memoria di Olga Blasi per ricordare il dramma da lei vissuto, che si unisce a quello di migliaia di persone che sono state infoibate o costrette dal regime titino a lasciare la propria casa. La cerimonia è stata, dunque, un momento di riflessione per non dimenticare una delle pagine più tristi della nostra storia, per fare in modo che le nuove generazioni siano messe nelle condizioni di conoscere le tragedie che hanno avuto luogo sul confine orientale e impedire che simili sciagure si ripetano nel futuro. A Ronchi dei Legionari, va ricordato, una via cittadina è stata intitolata proprio ai Martiri delle foibe.
«Vogliamo e dobbiamo ricordare – le parole del sindaco di Ronchi Livio Vecchiet – che non esistono giustificazioni sul dramma umano che hanno subito le popolazioni di allora. Le rappresaglie sulla gente inerme, le foibe e l’esodo sono state politiche di pulizia etnica e di annullamento culturale vergognose, nel quadro del terrore del disegno annessionistico prima italiano e poi slavo. Anche a 70 anni di distanza ciò non deve essere dimenticato, come noi non dobbiamo mai dimenticare queste pagine buie della nostra storia». Olga, intanto, in qualche modo, attraverso la targa apposta sulla cappella di famiglia, è ritornata a casa, vicina a quelli che furono i luoghi della sua infanzia, i più amati.
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