L’«antro funesto» di Umberto Saba

Nel catalogo 111, stampato nel marzo del 1948, Umberto Saba abbozzava una microstoria della sua Libreria di via San Nicolò, fatta di emozioni e sogni. Il testo viene riproposto dal volume «La libreria del poeta» di Elena Bizjak Vinci e Stelio Vinci.


Questo catalogo che incomincia con un giro nella Scozia avrebbe dovuto cominciare invece, se io avessi mantenuta la mia promessa, con la Storia di una libreria. Ebbene, il lettore mi perdonerà quando gli avrò detto che mi è mancato, all’ultimo momento, l’animo di scriverla. Le ragioni sono diverse; ne dirò qui una sola. È una storia che mi sarebbe piaciuto scrivere «con il latte dell’umana bontà», che esiste in tutti, sebbene in tutti si nasconda per l’equivoco della paura. Questo avrebbe voluto dire, nel mio caso, scherzare un poco; prendere un poco in giro - oh, molto garbatamente; senza (posso giurarlo) nessuna malizia - me stesso e i miei strani clienti. Mi sono accorto a tempo che il tempo mi è, anche questa volta, contro. «Siamo - scrisse con bella semplicità Emilio Cecchi - oppressi da troppi dolori». La triplice angoscia del passato, del presente e dell’avvenire, il senso, che è nell’aria, di un «nulla di fatto», sono cose che non perdonano e non vogliono essere perdonate. Alterano, riducono a sé stesse, anche il significato di un sorriso amico nato da molte lacrime.


Eppure quella storia vorrei raccontarla; vorrei farne uno dei capitoli di quel mio ultimo libro «Ricordi del mondo meraviglioso», che temo non scriverò mai (dove trovare il luogo, il tempo, la solitudine, la pace necessaria?) ma al quale devo, specialmente la notte, pensare, se voglio darmi una ragione del mio sopravvivere. Un congedo - senza rancore - da una vita che non è stata né breve né facile; una buona metà della quale l’ho trascorsa appunto nella Bottega di via San Nicolò. Chi me l’avrebbe detto il giorno che subito dopo l’altra - ultima - guerra, vidi per la prima volta e dall’esterno, passando di là per caso, il vero antro funesto? Ricordo perfettamente, come fosse oggi (e sono passati 29 anni) che era una magnifica giornata del giovane autunno. Ricordo anche di aver pensato, fra me e me: Che orrore se il destino mi obbligasse a passare là dentro il resto della mia vita!


Cinque giorni dopo, e sempre per caso, avevo comperata la Libreria. Si deve arguire da ciò che, qualche volta, i nostri timori, i nostri disgusti, i nostri «tutto si, ma quello no» non siano, in profondità, che speranze desideri presagi che ci arrivano, in forma rovesciata, alla coscienza? Non dico che sia così; ma che così potrebbe anche essere. Io almeno l’ho, di quando in quando, avvertito. Devi comunque, amico, lettore, accontentarti, come in passato, della descrizione, più che in passato nuda e sommaria, di alcuni pochi vecchi libri. Che tanto valgono in quanto ti divertono.

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