L’arringa di Brandi sulla Val Rosandra: “colpa” di San Dorligo

Mandano avanti, come un’annunciatrice, l’assessore al lavoro per dire che la Regione sulla Val Rosandra non ha alcuna colpa, alcuna responsabilità e che si doveva intervenire per scongiurare il pericolo di inondazioni. Angela Brandi, che è triestina e sa benissimo cosa rappresenta e significa la Val Rosandra per i suoi concittadini, legge quattro paginette “girate” dal vero assesspre all’ambiente Luca Ciriani. Lui, il principale “imputato”, non ci mette la faccia, è assente dall’aula del Consiglio regionale. E qualcuno nel brusio generale ironizza sulla malattia: è “malrosandra”.
Un compito tutt’altro che facile per Angela Brandi spiegare le ragioni e i motivi di quello che viene definito come un disastro ambientale su cui il pm Antonio Miggiani ha aperto un’inchiesta. L’assessore al lavoro parla a voce bassa e spiega di chi è la colpa. Indica chi ha chiesto di intervenire. «Il documento relativo all’attività di pulizia dalla vegetazione infestante all’interno dell’alveo del torrente Rosandra - dice Brandi - è stato sottoscritto dal sindaco di San Dorligo e dal direttore operativo responsabile del Servizio del medesimo Comune e comprende anche mappe cartografiche con l’indicazione dell’area complessiva dell’intervento in alveo, così come individuate congiuntamente tra il Comune e la Protezione civile della Regione». La Regione, quindi, scarica le responsabilità sul Comune di San Dorligo. «Nell’ultimo decennio il torrente Rosandra - spiega ancora Brandi - è stato interessato da fenomeni di piena negli anni 2002, 2003, 2008 e 2010, e in particolare durante l’evento verificatosi nel mese di settembre 2010 è esondato provocando l’allagamento della zona industriale di San Dorligo della Valle e ha prodotto, nella parte alta del proprio corso, una grave erosione della sponda, in corrispondenza del ponte in località Bagnoli Superiore».
Tra i mugugni e le proteste dell’aula, l’assessore accenna ad alcune pubblicazioni scientifiche, tra cui quella di Dario Gasparo e di Paolo Paronuzzi. E riferendosi agli episodi più importanti aggiunge: «In genere vengono facilmente dimenticati, per non dire “rimossi”, ma sono invece evidenze preziose per ricordarci che quel modesto torrente dall’aspetto così innocuo e pittoresco può rapidamente trasformarsi in un minaccioso fiume in piena capace di distruggere e inondare ampi spazi di pianura circostante». Riguardo la Protezione civile finita sotto tiro e paragonata ad Attila, Brandi precisa: «L’intervento in oggetto non è assoggettato ad alcuna autorizzazione in materia di tutela paesaggistica. È stato eseguito a tutela della pubblica incolumità». E poi incalza: «Ribadisco che la Protezione civile della Regione ha operato intervenendo unicamente nell’alveo del torrente come definito dalle norme giuridiche, mantenendosi anzi in un ambito ancora più ridotto. Dalle modellazioni idrauliche e dei rilievi plano-altimetrici del tratto del torrente Rosandra, effettuate dalla Protezione civile della Regione, risulta che la superficie dello specchio d’acqua corrispondente alla portata trentennale contiene completamente il perimetro dell’area della pulizia svolta nei giorni 24 e 25 marzo». Un’arringa difensiva che non ha forse pienamente convinto neanche i suoi alleati, almeno quelli triestini.
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