L’autista che ammira le stelle con il tupperware sul cruscotto

di BENEDETTA MORO
B come “buonasera”. O B come “benvenuti”. Benvenuti a bordo dell'ultima diligenza: la linea B, appunto. Partenza piazza Goldoni, direzione Longera. Guglielmo Leibelt, potesse, suonerebbe un “din”. O un campanello pur che sia. Ma si accontenta di una fugace occhiata a questo microcosmo di facce assonnate. Cuochi che smontano il turno, volti brilli e paonazzi che devono ancora smaltire il bicchiere di troppo. Più in fondo i giovani agenti della Scuola di Polizia.
Si parte con una delle 14 vetture notturne di Trieste Trasporti, la B. Tra i 600 autisti dell'azienda, c’è Guglielmo, 57 anni, che dall’89 lavora solo di notte. Preferisce guadagnarsi la pagnotta sotto la luna e le stelle. E pazienza se davanti a un volante: lui quel lavoro comunque lo adora e, in ogni caso, ciò che conta é stare di giorno con la famiglia. Piazza Goldoni - Longera - Piazza Goldoni - Servola: la B copre due linee, la 29 e la 35. Guglielmo attacca alle 18. L’ultima corsa termina al deposito a mezzanotte e trentacinque. Le luci neon blu dell'autovettura accolgono i passeggeri in via Gallina. «Dobbiamo aspettare un attimo la coincidenza con il pulmino», fa notate il conducente. É il mezzo aziendale che usano i colleghi per tornare a casa finita la giornata. Attilio, che ha appena smontato il turno, è arrivato. Si può partire. «Oggi ho buttato via un sacco di maglioni», dice l'amico all’autista. «Potevi darli a Gildo», risponde l'altro sorridendo. I triestini sanno bene a chi ci si riferisce. Gildo è un signore particolare, a cui piace parlare con le persone e soprattutto “ammirare” le donne. Porta sempre i pantaloni a vita alta ed è un po’, come dire, “strampalato”. I conducenti dei bus spesso comunicano con lui e «alcuni, quelli appassionati a certi aggeggi, vanno a casa sua per riparargli la radio». «Ora è calmo - aggiunge Guglielmo-, ma c'erano dei periodi in cui ha rotto anche qualche porta e specchio».
L'asfalto è bagnato, ha piovuto abbastanza, per il momento il bus trasporta poca gente. Attilio e Guglielmo sono fieri dell'azienda per cui lavorano. Via Raffaele Sanzio. Attilio saluta e smonta. Con lui qualcun’altro, magari dovevano essere di più a scendere, «ma a volte si dimenticano - spiega Guglielmo -, perché sono così intenti a guardare il cellulare, che restano su». Dalla sua postazione vede tutto. Con lo schermo che trasmette chi sale e chi scende. A sinistra regola l’aria calda e fredda, «che sbrina anche i vetri laterali», sottolinea. A destra il cambio marce che funziona con semplici pulsanti. Sta comodo, «alla fine ogni anno 33 vetture nuove vengono inserite e sostituite, ciascuna ha un'età media di sette anni», e fa il lavoro che più gli piace, iniziato nell'82, dopo aver preso la patente per i pullman durante il servizio militare nell'aeronautica quando portava in giro i piloti. Ma è pieno di patentini Guglielmo: quello per la conduzione di ascensori e montacarichi, uno dei suoi primi mestieri, e quello per la guida del tram, come manovratore, «un servizio prestigioso».
In quest’ultimo campo ha guidato anche di gior. no, a parte i sette anni in cui ancora faceva il mattutino e il pomeridiano con i bus. Ma lavorare con la luce sui mezzi a quattro ruote gli scombinava la vita. «Avevo sempre turni sfasati, non c'era continuità, iniziavo alle 5 o alle 7 - dice -. Con il tram invece, di giorno, iniziavo a un orario più tardo e conveniente per me, perché alla fine, anche se è un mezzo che usano i cittadini, è prevalentemente turistico».
Tra un lavoro e l’altro insomma Guglielmo si dà da fare da 43 anni e due mesi, di cui 35 passati alla Trieste Trasporti. Nel 2019, «se le cose continuano così, dovrei andare in pensione». Di notte ai comandi di un bus e di giorno sotto le coperte? Niente affatto. Si alza alle 7, sveglia la bambina più piccola, «ora che è grande va a scuola da sola, ma non si sa mai che resti a dormire e non ci vada», dice il papà. E poi ogni giornata cambia. Da quando ha il cane, cioè da cinque anni, lo porta a fare una passeggiata, e poi trascorre qualche oretta in palestra. Iniziano in seguito i lavori di casa, qualche pulizia, la spesa, va in mensa a mangiare con un collega oppure fa il pranzo per un’altra delle quattro figlie, nessuna delle quali ha la patente. Ironia del destino. E ha anche un segreto. «Tanti colleghi mi chiedono perché non ho la pancia: io appena stacco, vado a casa, mi lavo i denti e dormo. Ceno in bus, mi porto l'insalata con il tonno, nel tapperware, o un toast».
Intanto la B ha sorpassato San Giovanni ed è arrivata alla stazione di Longera. «Daniel ti amo, torna a casa». Nessun dottor Stranamore, solo una scritta che sta proprio parallela alla fermata del bus. E Guglielmo se la leggeva sempre, anche se ormai non ci fa più caso. Il bus è vuoto e ripartirà così. Non sarebbe la stessa situazione se fosse San Martino. Le osmize in questo periodo novembrino sono aperte per il vino nuovo. «In quei casi dobbiamo cambiare spesso la correria, due tre volte per sera, perché i ragazzi che riempiono il bus, fanno di tutto». Sono quasi le 23. Situazione calma fino a via Battisti, quando sale un signore noto. «Un attimo autista», urla il passeggero con occhiali da sole dai bordi gialli, ma Guglielmo non ci fa nemmeno più caso, lui lo conosce. «Non puoi fare questo mestiere se non sei diplomatico - spiega lui-. Con tutta la gente che urla, per esempio se fai cinque minuti di ritardo per pioggia o traffico, inizia subito a chiederti “dove la iera?” e spesso vuole litigare, devi stare tranquillo». Gli ubriachi? «Se rompono le scatole, uso la formula magica». E qual è? «Segreto». Meglio così, che non gli rubino l'idea. Ma il signore che è salito, quello un po' strano, lascia una scia di alcool non indifferente. È una di quelle figure che ogni bus ha, gli habituè insomma. «La nostra è una piccola casa, qui la gente dorme, mangia, fa salotto». La sua carrozza blu, a ricordare le tinte del mare triestino, accoglie l'uomo un po’ brillo. Guglielmo, anzi “Bubi”, così lo soprannominano i colleghi (da Pubi, diminutivo di “Kinder”, bambino in tedesco) attende che salga l'uomo barcollante. “Cuccurucucu Paloma” canta quest’ultimo. Stava pensando a Franco Battiato? A Caetano Veloso? A Julio Iglesias? A Pedro Infante? A José Feliciano? Chissà. «Mi sono innamorato», mormora a un passeggero accanto che evidentemente conosce. «Ma non dirlo a nessuno eh, che resti tra noi», esclama. Un po’ difficile visto che l’ha sentito tutto l’autobus. Il signore, fedele alla sua vettura, di solito scende a Guardiella, ma oggi finirà la corsa in viale XX Settembre, vuole fare “due passi”.
Sono le 23.15, all’altezza di piazza Goldoni improvvisamente si alza un vociare con chiaro accento meridionale. Sono i ragazzi della scuola di Polizia, «una delle più importanti d'Italia», annota Bubi, che si trova a San Giovanni. Mentre il bus risale verso Longera raccoglie un’altra ventina di persone. Guglielmo conversa con una cuoca, «una mia cliente - dice - che ora purtroppo perderò perché cambia casa». Nessuna guardia medica stasera ha fermato il nostro. E neppure la Polizia, che una volta l'ha obbligato ad accostare, perché a bordo c'era un paziente scappato dall'ospedale di Cattinara. Ma non sono nemmeno mancati i controlli, in piena notte, per verificare la presenza di clandestini. Per non parlare di quel tipo “un po' bizzarro”, che ancora ricorda: un pazzo fuggito da un centro di salute mentale con i tubi della flebo sul braccio. Già, B come balordi, ma per Guglielmo é sempre una Buonanotte.
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