L’auto dei gioiellieri pedinata dai banditi In azione più di due

Un colpo da veri professionisti, messo a segno in brevissimo tempo. Architettato a tavolino, nei minimi dettagli, e orchestrato non solo dai due esecutori materiali - cioè la coppia di ventenni dall’accento napoletano, il volto scoperto e i modi brutali, autrice giovedì della rapina a mano armata da “Andrea gioielli” -, ma almeno da un’altra o, più probabilmente, da due persone. A quattro giorni di distanza dal maxi-furto con sequestro di titolare e figlioletto di 8 anni inizia a delinearsi, nonostante la fittissima cortina di riserbo che avvolge le indagini affidate alla Squadra mobile e al Commissariato di Monfalcone, il modus operandi della banda che ha consumato il delitto in pieno giorno (e soprattutto in pieno centro) al laboratorio orafo, affacciato su via Bixio, ma formalmente ubicato al civico 21 di via 9 giugno.
Innanzitutto, l’ipotesi che ad agire siano stati solo i due uomini poi dileguatisi a piedi - il calvo con baffi e il “collega” con la cresta, stando all’identikit frutto del vaglio delle telecamere a circuito interno - vacilla. Per due motivi. Il primo: quel giovedì c’era (oltre ai due ventenni appostati e in attesa di agire) almeno un’altra automobile o moto a seguire i coniugi Petric, proprietari del negozio. E forse anche una seconda vettura, nell’adiacente parcheggio in via Ponchielli, per la fuga. Come possiamo dirlo? Per logica. Intanto, i titolari del laboratorio orafo non sono mai stati abitudinari e hanno dichiarato di «aprire l’attività sempre a un orario differente, a volte 5 o 10 minuti in anticipo, altre in ritardo di un quarto d’ora», come effettivamente avvenuto quel giovedì.
Inoltre, e lo si è appreso solo ieri, marito e moglie, residenti a Staranzano, si stavano recando in centro insieme, cioè a bordo di una sola vettura. Pochi minuti prima di andare ad aprire il negozio, però, Claudia Zarcone aveva fatto scendere il consorte Andrea Petric per consentirgli di prendere un caffè al bar del Tennis, prima del Sam hotel. Dunque la condizione ideale per entrare in azione, dal punto di vista dei malviventi. Ma come facevano a saperlo, se non perché qualcuno a bordo di un mezzo li stava appunto pedinando, per dare il la ai rapinatori? La seconda motivazione, invece riguarda l’ipotesi-parcheggio. Improbabile che il veicolo “pedinatore” sia stato anche quello della fuga, perché sarebbe bastato un semaforo rosso o un incidente su strada a far naufragare la fuga dei malviventi. È probabile, invece, che una seconda vettura, magari appostata in via Ponchielli, abbia raccolto i rapinatori dopo il colpo. In questo modo, il primo mezzo avrebbe anche potuto fungere da “apripista”, precedendo la vettura col ricco bottino - oltre 150mila euro - e salvaguardandola dai posti di blocco.
Quest’ipotesi spiegherebbe anche come mai il titolare Petric, una volta ricevuto l’avviso sul cellulare che l’allarme anti-rapina era scattato, non abbia incrociato, precipitandosi di corsa al negozio e risalendo da via Cosulich, figure sospette allontanarsi a piedi. Se le cose dovessero essersi effettivamente svolte così, la Polizia potrebbe a questo punto trovare un alleato nelle celle telefoniche, perché altrimenti come avrebbero fatto i malviventi a comunicare tra di loro a distanza? Ma in aiuto potrebbero arrivare anche i rilievi dattiloscopici effettuati dalla Scientifica giovedì. Secondo quanto trapelato sempre ieri, infatti, gli agenti hanno recuperato diverse impronte digitali, in particolare sulle cassettiere svuotate e il tavolo. Certo, potrebbe trattarsi di tracce lasciate dai clienti, ma non può escludersi che i ladri, già imprudenti nell’agire brandendo una pistola a volto scoperto, abbiano lasciato il segno del loro passaggio. Anche perché, almeno finché la titolare non è stata rinchiusa in bagno col bimbo, come riferisce Petric, «non ha notato assolutamente guanti, altrimenti si sarebbe insospettita e non avrebbe aperto la porta». Non si può escludere, tuttavia, che i malviventi li abbiano indossati negli istanti successivi. Ma solo gli esiti dei rilievi diranno cosa esattamente avvenuto.
Nel frattempo, dopo due giorni di chiusura dell’attività (domenica è festivo e oggi i negozi non aprono) i coniugi Petric hanno maturato l’intenzione, domani, si risollevare la saracinesca. Hanno schivato microfoni e telecamere di Mediaset, preferendo mantenere un profilo basso. Dovevano riprendersi. Il giovedì nero, per loro, è stato choccante, ma la famiglia ora «vuole reagire, fiduciosa nell’operato delle forze dell’ordine e che si possa arrivare a una fine, in questa spiacevole situazione». I Petric hanno ricevuto moltissime telefonate di solidarietà (l’uomo peraltro è noto anche per l’attività di allenatore in ambito calcistico) e attestazioni di vicinanza. «Anche se ci sarà sempre paura - dice il titolare - bisogna tornare lì. Questo è un mestiere che mi piace e voglio tornare a esercitarlo: non saranno i rapinatori a scoraggiarmi. Ci vorrà un po’ di tempo, ma spero che li prendano e con la nostra merce». L’attività è assicurata, ma i tempi per il recupero, come si sa, sono dilazionati. Dal canto loro, i proprietari, avevano adottato ogni accorgimento: l’antifurto è stato digitato per ben due volte e le telecamere hanno nitidamente immortalato i rapinatori a volto scoperto. I gioielli erano stati in precedenza fotografati e catalogati. La merce “scotta” e un passo falso potrebbe costare caro.
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