Le cavità settecentesche e la magia delle perle

Nel rione di Longera lungo il corso del torrente Starebrech/Farneto esistono alcune gallerie artificiali realizzate nella seconda metà del Settecento e che molti ignorano. Sono delle cavità scavate dall’uomo ancora al tempo di Maria Teresa e che avrebbero dovuto far parte dell’acquedotto che porta il nome dell’imperatrice. Vengono chiamate Stena inferiore e superiore o, per tradizione popolare, “le gallerie dei francesi”. Situate all’interno dell’area del Bosco Farneto (comunemente Boschetto ndr) sono di proprietà del Comune di Trieste che non sembra riporre grande interesse in questo pezzo di storia cittadina. A ragion del vero, ad occuparsene sono i volontari della Società Adriatica di Speleologia che da decenni svolgono attività di monitoraggio e analisi.
Paolo Guglia è curatore regionale per il catasto delle cavità artificiali, nonché membro della Sas. «L’organizzazione iniziale dell’acquedotto teresiano prevedeva una certa dinamicità e la costruzione di diversi rami proprio perché il flysch e l’arenaria non riescono a catturare le acque. Anche per questo motivo si pensa di iniziare a raccogliere l’acqua anche nella vallata del torrente Starebrech». In principio si pensa a costruire un collettore che corra parallelo a questo patok (ruscello) e alcune gallerie di captazione sia per quanto riguarda la riva sinistra sia per la destra orografica. «A cavallo dell’800 e successivamente durante le invasioni napoleoniche i lavori si interrompono per diverse ragioni: una di queste è rappresentata dalla vicenda di una contessa proprietaria dei terreni che, non soddisfatta economicamente dell’esproprio che le autorità avrebbero dovuto attivare nei suoi confronti, fa in modo che le lungaggini burocratiche prendano il sopravvento». Le acque delle Stene vengono così utilizzate dai contadini della zona e viene realizzato un lavatoio dove le donne erano solite a lavare i panni di casa. «Sono gli abitanti di questa valle a indicare le gallerie come francesi – continua Guglia – anche se il paradosso è che sono proprio le invasioni napoleoniche a frenare lo sviluppo del progetto e a renderle poco importanti».
«Queste gallerie di captazione delle acque raggiungono all’incirca i 120 metri di lunghezza – commenta Marco Restaino della Sas – e al loro interno c’è molta acqua. Sono tra le più belle della zona, con una limpidezza eccezionale, per cui sembra veramente di essere dentro ad una grotta, con gamberetti e molti crostacei». La prima metà di queste gallerie è invasa dall’acqua. «Nel tratto iniziale – continua Restaino – si procede in leggera salita e non ci sono rivestimenti né archi a volta. Sono state scavate nella roccia nuda e il fenomeno delle concrezioni interne è a dir poco spettacolare». L’entrata della Stena inferiore negli ultimi 20 anni ha visto crescere a dismisura una concrezione di travertino. «Facciamo sopralluoghi una volta all’anno e non abbiamo mai avuto bisogno di allargarla». Una delle curiosità legate alle due gallerie è che rappresentano un importante sito riproduttivo della salamandra pezzata e della formazione delle pisoliti, comunemente chiamate perle di grotta. «Sono concrezioni che si formano in seguito alla presenza di granelli di sabbia, che per l’azione continua dell’acqua ricca di minerali, ruotano in piccole vasche e per accumulo si trasformano in perle. Ci piace pensare che la natura si stia riprendendo gli spazi», conclude Restaino.
Le Stene quindi rappresentano a tutti gli effetti un elemento della Trieste da salvare. «Come nel caso delle grotte – commenta Guglia – il discorso è sempre un problema molto complicato. Un impianto che produce acqua per la comunità viene considerato pubblico mentre quando ci si trova di fronte a queste sorgenti, che non trovano riscontro nell’interesse da parte delle istituzioni, allora vengono accantonate come fossero delle vene d’acqua qualsiasi». «Dovremmo chiederci se la Soprintendenza abbia interesse a ritenerle importanti fino a considerarle vincolabili. Fino a quando il tutto non ha un vincolo puntuale – afferma Guglia – allora l’accesso è considerato anche a proprio rischio e pericolo». Contattati gli uffici di palazzo Economo, a margine di un recente cambio di organico, non c’è un architetto che ricopre la carica di responsabile della parte storico-architettonica (per il costruito, ndr) e bisogna rivolgersi a Udine. Il Comune di Trieste non possiede un ufficio preposto alla cura e al mantenimento di queste cavità così particolari (esiste invece per i bunker e i sotterranei, ndr) e «non vogliono neanche saperne anche per il fatto che altrimenti dovrebbero assumersi una responsabilità troppo alta», commenta Restaino. «In questo caso – conclude Guglia – tranne a noi della Sas queste gallerie sembrano interessare a pochi: da un lato tutto ciò può essere considerato negativamente perché nessuno investirà mai del denaro per proteggerle e valorizzarle, mentre dall’altro – il fatto che sorgano su terreno comunale – fa in modo che nessuno possa mai ottenere i permessi per costruirci sopra una villa». Se sono ancora accessibili lo si deve al lavoro degli speleologi della Sas, che contribuiscono a rendere vivo l’interesse per il sottosuolo. Essi rifuggono la superficie e amano la profondità.
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