Le dispense verandate di chi non aveva il frigo

Capita di notarle alzando gli occhi verso i piani alti dei palazzi del centro. Sono quelle finestre molto particolari, conosciute dai triestini come aperture “a sburto”. Soluzioni d’antan e in via d’e...
Silvano Trieste 2018-03-29 Finestre "a sburto"
Silvano Trieste 2018-03-29 Finestre "a sburto"

Capita di notarle alzando gli occhi verso i piani alti dei palazzi del centro. Sono quelle finestre molto particolari, conosciute dai triestini come aperture “a sburto”. Soluzioni d’antan e in via d’estinzione, che rappresentano però un elemento di unicità architettonica tipico della zona urbana e quindi, a detta degli addetti ai lavori, una caratteristica da salvare. «Vanno assolutamente conservate e mantenute - osserva Olivo Delise, decano dei falegnami triestini e da oltre sessant’anni alle prese con queste finestre -. Parliamo di finestre che possiedono un doppio telaio distaccato e fanno parte dell’architettura del secolo scorso, quando i serramenti si realizzavano con un certo criterio, non come oggi che si utilizza esclusivamente il pvc o l’alluminio. Eppure il legno si ripara sempre, il resto no».

«Ultimamente ne abbiamo messe a posto alcune in piazza Hortis - affermano Massimo Pozzani e Pierpaolo Pasinati dell’omonima vetreria di via dell’Annunziata -. Anche sulla facciata del palazzo che ospitava Godina, in via Carducci. Uno dei problemi principali è che, essendo fatte in legno, spesso a causa delle intemperie marciscono e proprio la base viene intaccata molto rapidamente». Cosa fare quindi quando ci si ritrova davanti a queste finestre uniche nel loro genere? «Tanti decidono di toglierle e buttarle via, anche perché rifarle completamente ha un costo che non tutti possono permettersi di sostenere», commenta Pozzani.

Le finestre a sburto assolvevano a diverse funzioni. «In quasi tutte le stagioni la gente metteva fuori i generi alimentari, e vengono ricordate soprattutto per la vaschetta d’acqua con il burro - ricorda sempre Pozzani -. E poi avevi la possibilità di guardare la strada senza doverti bagnare quando pioveva». Queste chicche si trovano in molte zone del centro cittadino. La zona del viale XX settembre è una di quelle dove compaiono maggiormente, ma si trovano in via Roma sopra un negozio di ottica, nelle vie Felice Venezian e in buona parte del borgo Giuseppino, nella zona tra piazza Venezia e la fine delle rive. In alcuni casi si può notare il loro rifacimento in materiale diverso rispetto al legno.

L’architetto Giovanni Damiani le conosce bene e possiede una visione particolare su queste finestre. «Io credo siano molto simpatiche e caratteristiche e mi sembra anche evidente che la loro realizzazione a doppio vetro sia funzionale alla bora. Uno spazio in più sul davanzale e il frigo erano certamente due elementi unici. Dall’altro lato, però, oggi come oggi chiunque possiede un frigorifero in casa e queste finestre hanno anche una capacità di disperdere calore che non va di pari passo con la necessità di realizzare un consistente risparmio energetico».

Salvarle oppure lasciare che si estinguano? «Credo in fondo che basterebbe tenerne in vita qualcuna, proprio per rimarcare la particolarità e i tempi del passato in cui avevano una funzione precisa». In aiuto possono arrivare le tutele della Soprintendenza che, nel caso di palazzi vincolati, può appunto impedire la rimozione delle aperture originarie. Negli altri casi, quando capita di dover restaurare e ridipingere le facciate, il più delle volte le vecchie finestre finiscono per essere tolte. «Credo sia molto importante rivedere le norme per poter rifare le facciate», continua Damiani. Uno dei punti fondamentali diventa così il rapporto tra il presente e un passato lontano. «Le situazioni vanno analizzate con buon senso, senza eccessi - conclude l’architetto -. Non sempre le cose nuove sono brutte e quelle vecchie sono meravigliose. Tutto è molto più complesso di come pensiamo normalmente». «Il problema - aggiunge Delise - è che oggi la gente non ha soldi sufficienti per restaurare gli infissi originari come dio comanda, così al primo punto critico li toglie e non li sostituisce più».

Chi possiede queste finestre, dunque, per conservarle deve effettuare una manutenzione periodica, altrimenti rischia di doverle asportare a causa del degrado e dell’incuria. La stessa che ha colpito gli esemplari presenti in Viale, ai piani alti di alcuni palazzi, dove non ci sono più neanche i cognomi delle famiglie sui campanelli. Palazzi, va detto, non particolarmente prestigiosi. Queste particolari finestre, infatti, erano funzionali soprattutto per la gente povera e in ogni caso distante dal benessere borghese. «Se guardi anche in centro - afferma Damiani – sui palazzi un tempo nobiliari o molto importanti, queste finestre non ci sono, anche perché queste famiglie si facevano portare il ghiaccio ai piani alti».

Alla voce “sburto” del Dizionario Etimologico e Fraseologico compilato dal professor Mario Doria si trova esattamente questa definizione: «Nelle vecchie case, sporto della finestra, piccola chiostrina a vetri che si applica ai davanzali. Asportabile nei mesi estivi per essere sostituita dalla grillia (la persiana, ndr)». «Sono parte dell’architettura del tempo degli Asburgo», conclude Delise. Conservarle significa portare rispetto nei confronti di un’epoca passata. Che non è poco.

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