Le Havre, San Francisco e Oporto Tre modelli di “mare” per Trieste

“Miracolo a Le Havre”. È quello in cui spera anche Trieste. In realtà il titolo originale dell’ultimo film del regista finlandese Aki Kaurismaki era “Le Havre” e basta. Nella versione di Marcel Carné del 1938 era addirittura “Il porto delle nebbie”. E questo potrebbe rispecchiare abbastanza bene la realtà di Trieste. Le Havre è uno dei tre “case studies” (l’inglese è ormai d’ufficio) che fanno al “caso“ di Trieste. Gli altri “casi” sono Matosinhos (sobborgo portuale di Oporto) e una piccola porzione di San Francisco. Lo studio, elaborato dalla Swg per conto della Camera di commercio di Trieste, è stato presentato ieri nella sala Maggiore di piazza della Borsa a una platea selezionata di amministratori, operatori economici e della comunicazione. «Idee semplici per l’ottimizzazione delle risorse “a mare” di Trieste» è il sottotitolo dello studio. Le virgolette garantiscono il doppio senso. «Lo studio - premette Antonio Paoletti, presidente della Cciaa - è stato realizzato partendo dalle progettualità presenti e sentendo direttamente un grande numero di attori economici, sociali e culturali». La convinzione è sempre quella da anni. «La “blue economy” collegata al mare, ovvero all’elemento naturale che è ragione della nascita di Trieste come città-porto, rimane una risorsa fondamentale, un vero punto fondante per la ripresa».
A introdurre lo studio un filmato del batiscafo Trieste. No proprio azzeccato, visto che la sua capacità era quella di andare a fondo (detiene dal 1960 il record di profondità marina replicato soltanto il 26 marzo scorso dal regista James Cameron). E non è quello a cui aspira, almeno si spera, Trieste. Il punto di partenza di “Tre Case Studies”, illustra Roberto Weber, presidente di Swg, «è una provocazione: vedere cosa fanno gli altri per scoprire i ritardi, i limiti, i deficit di Trieste». Gioco facile. Individuato un waterfront di 5 chilometri (un’ora di passeggiata) vedere le potenzialità che è riuscito a esprimere in tre altri casi. Nel caso di Trieste si va dal Magazzino 26 in porto Vecchio al Molo VII (porto Nuovo). Su un’area identica Le Havre, Matosinhos e San Francisco sono riuscite a valorizzare attività che vanno da quella portuale a quella culturale, da quella crocieristica a quella scientifica. Le Havre e Matosinkos, inoltre, hanno una situazione simile a Trieste con spiaggie e zone portuali vicine al centro storico. I “tre case studies” sono lo specchio di quello che Trieste non è riuscita neppure ad abbozzare con il suo waterfront (termine che faceva impazzire l’ex sindaco Roberto Dipiazza) unico al mondo. Qualcuno ricorda anche i “case studies” di Valencia o Saragozza. In passato era stati presi in esame anche quelli di Barcellona e Bilbao. Eppure Trieste, come sottolinea qualcuno dei presenti, è più bella di Le Havre, Matosinkos e persino di San Francisco. Una bella addormentata che ora deve guardarsi le spalle da Capodistria. «Primo di ogni studio Trieste deve decidere cosa vuole essere» butta uno qualcuno. E siamo punto a capo. Alla fine la Swg tira le fila del dibattito. «Vedo che la frammentazione permane - spiega Weber - e con la frammentazione si ottengono pochi risultati». Idee semplici per buttare “a mare” le risorse di Trieste.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Piccolo