Le Indomite di Turriaco, pioniere del calcio femminile

Turriaco, 25 aprile del 1962, campo sportivo "Marino Minin". C’è ressa sugli spalti: 1.500 persone circa. A richiamarle non la squadra maschile, ma la partita tra due compagini femminili, quella del paese e quella, nata solo qualche mese prima, a Cormons. Le Indomite contro le Furie rosse. È qui, su un rettangolo d’erba della profonda provincia, che affondano le radici del calcio al femminile italiano, ora, finalmente, al centro dell’attenzione grazie alla partecipazione del team azzurro ai Mondiali in corso in Francia. Un tentativo, il primo, era stato fatto nel 1946 a Trieste, poi poco o niente. A Turriaco, però, piccolo centro della Bisiacaria dove al tempo o si faceva l’operaio in cantiere o il contadino, di fatto, di ragazze che seguivano il calcio, localissimo e non, non ne mancavano, come ricorda Vittorio Spanghero, memoria della storia del paese e del territorio circostante, oltre che ex calciatore. «La partita durò 60 minuti, 30 per tempo, più i 15 di intervallo, e terminò non tanto con il risultato di 1 a 1, quanto con un vero successo di pubblico», racconta Spanghero. Tutto era iniziato, in realtà, per sostenere finanziariamente la squadra maschile, per iniziativa della tifosa più “anziana”, con 7 ragazze e 2 ragazzi in porta.
«Un giorno siamo state contattate da Marino Bigot, ex arbitro di calcio che aveva messo in piedi le Furie rosse a Cormons - spiega Vanda Gon, terzino, entrata a 16 anni nelle fila delle Indomite -, per fare un incontro, il primo di una serie». Già, perché quelle di Turriaco e di Cormons erano le uniche due compagini esistenti in quasi tutta Italia, tolte le esperienze di Milano e poi, attorno alla metà degli anni Sessanta, in Toscana ed Emilia Romagna (la Federazione calcio femminile vide la luce solo nel 1968). «A Passons ci arbitrò però Leita, arbitro di serie A, e da tanta gente che c’era la rete venne giù - ricorda Vanda Gon, tifosa juventina, moglie e madre di calciatori -. Nello stadio di Valmaura a Trieste a dare il fischio d’inizio fu Nino Benvenuti». A guardarle giocare un pubblico in prevalenza maschile, più interessato a osservare delle ragazze in calzoncini correre sul campo, spettacolo decisamente inedito per l’inizio degli anni Sessanta, ante rivoluzione sessuale e femminista. «Noi però lo facevamo per divertirci, ci piaceva e ci impegnavamo: non era una pagliacciata», aggiunge a distanza Sonia Bergamasco, che all’epoca già praticava da tempo la danza classica, di cui è ancora insegnante in una scuola monfalconese. «I miei genitori non hanno mai posto ostacoli - spiega -. Ho sempre avuto una passione per lo sport. Del calcio mi piace la geometria e lo svolgimento». Grande tifosa interista, come la sorella che la coinvolse nell’avventura turriachese, ora Sonia Bergamasco tifa per le azzurre ai Mondiali di Parigi e per il calcio femminile. «Ora, come allora, è un modo per far capire che noi donne siamo in grado di fare qualsiasi cosa», sottolinea. Anche le Indomite al tempo si conquistarono comunque la loro fetta di notorietà, partecipando a diverse trasmissioni televisive e comparendo sulla stampa nazionale e locale. Poi, dopo trasferte avventurose e spogliatoi in cui per lavarsi c’era anche solo un secchio, la squadra si sciolse nella seconda metà degli anni Sessanta, lasciando però il segno e contribuendo a gettare le basi del calcio femminile italiano. —
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