Le lettere dei bambini dalla città assediata parole e disegni ritornano a Sarajevo

Scritte a coetanei “amici di penna” americani nel 1993, saranno custodite nel Museo dell’infanzia di guerra nella capitale bosniaca. Partita la ricerca per risalire ai nomi dei giovanissimi autori delle missive 

SARAJEVO. Furono scritte da bambini e ragazzini di Sarajevo nel 1993, mentre sulle case cadevano le bombe. Vennero spedite a coetanei negli Stati Uniti, di certo turbati nel leggere parole da una lontana città assediata. Ma ora, un quarto di secolo dopo, sono tornate a casa, nella capitale bosniaca. Dove ora si cercano i mittenti, se ancora in vita.

Sono le lettere partite dalla Sarajevo accerchiata dai cecchini, scritte da bambini e teenager sarajevesi ostaggi della guerra. Furono circa 400 - molte decorate da disegni o con foto in allegato - quelle uscite dalla città fino all’agosto 1993 nell’ambito di un progetto sostenuto dal magnate George Soros, il “Pen Pals for Peace Program”, Amici di penna per la pace, pensato per non far sentire completamente isolati i bambini di Sarajevo.

Una parte sostanziosa delle missive è finita ed è poi stata custodita per due decenni nei “Vera and Donald Blinken Open Society Archives” (Osa), a Budapest, una miniera di documenti su storia contemporanea e diritti umani. Nei mesi scorsi l’Osa ha deciso di far “rimpatriare” più di cento lettere per riconsegnarle «alla comunità a cui appartengono», hanno annunciato i responsabili degli archivi. Gli originali sono così stati donati al War Childhood Museum (Wcm) di Sarajevo, il Museo dell’infanzia di guerra dove presto anche le lettere dei bimbi dell’assedio troveranno spazio.

Lettere che spesso nessuno direbbe pensate da ragazzini in una città sotto assedio. Come quella di un teenager, ancora anonimo, che nel 1993 diceva di avere «i capelli e gli occhi marroni, mi piace il tennis e gioco bene. Colleziono francobolli e i miei gruppi preferiti sono U2, Inxs, G’n’r (Guns N' Roses, nda), Rem, Pet Shop Boys». Cibo preferito pizza, drink Coca cola. «Amo le cartoline, la musica, ballare, mi piace Michel (sic) Jackson, a te? Scrivimi presto», si legge in un’altra missiva.

Non sono tutte così. L’Osa, già nel 1994, aveva pubblicato una mini selezione delle lettere indirizzate al «Caro amico sconosciuto» americano. E tante raccontavano di violenza, con disegni di case in fiamme, morti e «sangue in strada», do persone che «hanno perso gambe e braccia», della tristezza di «non poter uscire a giocare e in bici», di una «città che era bella, ora distrutta», di un «papà ucciso dalle bombe», di «bambini uccisi». Furono, secondo alcune stime, oltre 1.600, su 10 mila i civili caduti durante l’assedio.

Dalle lettere ora tornate a Sarajevo emerge però una volontà di «mantenere una parvenza di normalità», ma anche e soprattutto un senso «di sfida», con «molti bambini che, malgrado gli orrori e le difficoltà di “questo brutto sogno”, dicono di non aver paura delle bombe e di non voler lasciare la loro amata città», rivela Csaba Szilágyi, numero uno del programma sui diritti umani dell’Osa, che ha fisicamente riportato le missive a casa.

«La nostra esistenza è difficile ma abbiamo amore, orgoglio e speranza, sono le nostre armi», scrivevano i bambini, aggiunge Szilágyi. Parole che non rimasero senza risposta: loro amici di penna americani si mossero, ingenuamente, scrivendo all’allora presidente Clinton e chiedendogli di «fermare la guerra».

«Non ho potuto ancora leggerle tutte, quelle che ho visionato però parlano della durezza della vita durante l’assedio, ma anche della tensione dei bambini verso la “normalità”», come «molti altri materiali della nostra collezione» che segnalano «l’abilità dei bambini di trovare vie spesso incredibilmente creative per affrontare una così dura realtà», conferma Amina Krvavac, direttrice esecutiva del Wcm, che ha pubblicato sui social un appello a chi riconosce le proprie lettere a farsi avanti.

Il Museo, conferma Krvavac, «ha iniziato un processo per trovare alcuni degli autori. Data la natura molto sensibile delle lettere, l’approccio è estremamente cauto. Per esempio alcuni bambini non sono sopravvissuti alla guerra, altri forse non hanno voglia di ricordare quel periodo».

«Grato all’Osa per aver donato le lettere e per averle conservate per 25 anni» si dice invece il fondatore del Museo sarajevese, Jasminko Halilović. E la ricerca di chi le scrisse intanto procede: «Abbiamo riconosciuto alcuni nomi, alcuni sono nostri amici, altri cercheremo di trovarli, ma dobbiamo essere attenti a rispettare la privacy di ognuno». E in ogni caso le lettere sono di per sé una risorsa di valore per i ricercatori che usano l’archivio del museo, aggiunge Halilović, oltre che fonte primaria per «creare una memoria collettiva», annota Szilágyi. Memoria che permetta di non dimenticare mai cosa fu l’assedio, soprattutto per i più piccoli. —

BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI
 

Argomenti:balcani

Riproduzione riservata © Il Piccolo