Le servono trasfusioni per vivere, la burocrazia l'intralcia a Monfalcone

MONFALCONE Fin dalla nascita ha dovuto fare i conti con un’imprescindibile dipendenza, le trasfusioni di sangue. La malattia cronica sviluppata da entrambi i geni ereditati l’ha costretta a gestire la sua vita facendo la spola tra casa e ospedale. È “normale” per lei fare avanti e indietro dal San Polo, ma ora a porle davanti nuovi ostacoli è ciò che continua a ripetere «il sistema», è la risposta degli operatori sanitari alle sue domande. Perchè dalla scorsa primavera non può più accedere direttamente all’ambulatorio trasfusionale. Tutto passa attraverso il Centro unico di prenotazione. Lo stesso servizio è cambiato, diventato una “costola” di Trieste laddove s’è concentrato il riferimento.
Martina, a soli 22 anni, una bella ragazza monfalconese, dal piglio vivace, solare e combattivo, a guardarla non si direbbe che sia imprigionata in un male così crudele e dal quale solo un trapianto di midollo osseo la potrebbe liberare. Si chiama talassemia major, più comune anemia mediterranea, un’alterazione dell’emoglobina contenuta nei globuli rossi, essenziale molecola deputata al trasporto di ossigeno a tutte le cellule del corpo. Questo significa che i suoi globuli rossi, poveri di ossigeno, vengono rapidamente eliminati dalla milza, che si ingrossa. Ed il midollo super attivo non è in grado di garantirne il dovuto ricambio.
Martina è costretta a sottoporsi a trasfusioni periodiche, attualmente due volte la settimana. Ma c’è un altro baratro: l’apporto di sangue periodico comporta un dannosissimo accumulo di ferro che evidentemente va eliminato con specifica terapia farmacologica. Insomma, una sorta di effetto domino contro il quale dover lottare, e soffrire, poiché sono più bassi che alti i suoi giovani passi di vita. Lei, la mamma sempre vicina come un angelo custode, racconta il suo calvario con una dignità ed una grinta che la dice lunga del suo coraggio. È cresciuta già adulta visto il peso di una malattia così importante che l’ha messa alla prova da sempre. «Con una malattia di questo tipo solitamente è tanto se si raggiunge l’adolescenza – spiega – ma io a 22 anni sono ancora qua». È una lezione di vita, ogni attimo, ogni respiro è un dono incalcolabile che Martina apprezza e assapora fino in fondo. Lo si coglie dalla sua gioia e da una sensibilità profonda che contagiano e fanno bene all’animo.
Alti e bassi nella sua vita, come racconta. Il periodo della sua infanzia le ha fatto incontrare «la mia seconda famiglia», la pediatra «che non finirò mai di ringraziare».
Finché è venuto il momento della separazione. «A 18 anni non potevo stare più in Pediatria – osserva la ragazza –. Sarei dovuta uscire a 16 anni, fu uno strappo alla regola. È stato molto importante, anche e soprattutto per il rapporto umano instaurato. Sono passata solo per un giorno in Medicina e poi chi ha deciso di prendersi cura di me è stato il Centro trasfusionale di Monfalcone. I primi due anni tutto è andato quasi bene. Poi la svolta, il cambiamento e sono diventata un “numero”».
Un malato come tanti, per il quale non esistono priorità. Che per Martina significa in sostanza l’accesso diretto al Centro trasfusionale. Il «sistema» l’ha messa di fronte a tutta un’altra storia. «Da quando il Centro trasfusionale di riferimento è stato eletto a Trieste – continua – al San Polo è rimasto un ambulatorio e come tale limitato in fatto di orari e servizio». Martina prosegue: «Dallo scorso marzo la situazione per me è decisamente peggiorata. Per fare la trasfusione bisogna prendere appuntamento. E ogni volta devo recarmi al Centro unico di prenotazione. Anche per la prescrizione del farmaco che rappresenta il mio salvavita poiché mi permette di eliminare il ferro in accumulo provocato dalle trasfusioni». Tutto passa dallo sportello, anche la sua malattia cronica. «Per fare i controlli settimanali ai quali devo necessariamente essere sottoposta – argomenta Martina – mi davano le etichette di prenotazione direttamente al Centro trasfusionale, ora invece devo rivolgermi al Cup. Ho chiesto se fosse possibile poter avere etichette con prenotazione multipla per più esami, ma non è possibile. Mi hanno sempre risposto che questo è il sistema». Martina ha evidentemente bisogno di effettuare costanti esami del sangue. «Da quando è stato trasferito il laboratorio di analisi a Trieste, anche in questo caso la situazione si è complicata». La ragazza osserva: «Mi chiedo se non sia più importante il sistema che le persone. Certamente al San Polo lo staff del Trasfusionale lavora al meglio, ma fa ciò che può. Alla fine sembra prevalere la burocrazia, eppure la mia malattia fa i conti con la mia salute. Lo dico per me e per tutti quelli che soffrono».
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