L’idea di un’opera contemporanea davanti allo scrigno della Scaramangà

Da angolo della “scovazza” a corner dell’arte: come possono cambiare le cose, spostando una semplice fila di bottini. Se passerà il progetto-Bradaschia su piazza Sant’Antonio, l’opera scultorea contemporanea prevista verrà collocata all’angolo con via Filzi, in pratica sotto le finestre della fondazione Giovanni Scaramangà, la più importante iniziativa privata in ambito museale a Trieste. Antico e moderno saranno distanti solo pochi metri.
La “Giovanni Scaramangà di Altomonte” è un’istituzione di cui poco si sente parlare, poiché da sempre coerente a uno stile di massima riservatezza. Eppure quel palazzo, esempio di architettura neoclassica, ristrutturato e ampliato da Antonio Buttazzoni negli anni Trenta del XIX secolo, ospita un autentico scrigno di cultura giuliana.
Basterebbe limitarsi alla mera statistica, riportata nella guida curata da Antonio Rossetti de Scander: 700 stampe, 1500 libri tra cui 9 incunaboli e una ventina di cinquecentine, 160 carte geografiche tra i secoli XVI e XIX , dipinti di Giuseppe Bernardino Bison e di Giuseppe Tominz, disegni di Pietro Nobile. Una importante raccolta di ceramiche, a richiamare un’attività molto importante nella Trieste tra il ’700 e l’800. Significativa la raccolta numismatica con una quarantina di monete e più di 350 medaglie. Aggiungiamo il mobilio. Capitolo a parte merita l’archivio del monastero di San Cipriano: manoscritti, pergamene, libri sacri, documentazione economica (compravendite, affitti, enfiteusi), bolle pontificie, decreti imperiali.
Ma a chi si deve questa cornucopia di cose belle e preziose? Il personaggio-chiave è colui al quale è dedicata la fondazione da lui stesso creata. Giovanni Scaramangà - scrive Rossetti - nacque a Trieste nel 1872 e vi morì nel 1960. Discendeva da una nobile famiglia greca, originaria dell’isola di Chios, trasferitasi a Trieste nei primi decenni dell’800 per sfuggire alle persecuzioni dei turchi, che uccisero anche il bisnonno di Giovanni. Operatore commerciale di livello internazionale, Scaramangà non si sottrasse all’impegno pubblico: di sentimenti italiani, rappresentò Trieste al Reichstag viennese come deputato liberalnazionale. Nella sua città fu presidente della Camera di commercio e, dopo la Seconda guerra mondiale, presidente del Lloyd Triestino. Guidò anche il curatorio del museo Revoltella.
Collezionista dovizioso, mecenate nel solco della fervida tradizione alimentata dalla comunità greca (Stavropulos, Economo, Ralli, ecc.), riuscì a costruire quella fortuna artistica e storica, di cui alla scomparsa organizzò con minuzia il funzionamento. A cominciare dallo statuto, che oltre a prevedere un consiglio direttivo di 5 membri, impone che vi faccia sempre parte un membro della famiglia Rossetti, discendente dallo studioso cui sono dedicati un monumento e una strada lunga e bella.
Così, alla morte di Scaramangà, la presidenza fu assunta da un omonimo del patrizio triestino, Domenico, che la mantenne fino al 1980. Per un biennio la carica fu ricoperta da Cesare Pagnini, avvocato e cultore della patria cultura, podestà di Trieste nel difficile periodo 1943-45: a Scaramangà dedicò un profilo biografico pubblicato dalla Società di Minerva.
Poi ancora un Rossetti de Scander, Antonio, che regge la responsabilità dal 1982 al 2013. Quando gli subentra il figlio, tuttora in carica, che per non turbare consolidati equilibri si noma Domenico. Presiede un comitato di cui fanno parte Sergio Moze, Giulio Bernardi, Sergio Flegar, Alessandra Sirugo (Comune). —
MAGR
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