L’insidia dei sommergibili nei mari del mondo

Doveva essere una guerra tra grandi flotte, formate da unità tecnologicamente moderne, veloci e dotate di potenti artiglierie, in grado di risolvere lo scontro in un breve braccio di ferro in cui avrebbe vinto il più forte. Invece si trasformò presto in una guerriglia, con le flotte asserragliate nei porti, impegnate soprattutto a difendere le proprie vie di comunicazione, e scontri segnati da agguati, colpi di mano, incursioni e attacchi subacquei. La Grande guerra sul mare fu lo specchio di quella combattuta a terra. Se i fanti si massacravano e logoravano nelle trincee, in mare le unità navali si misurarono a distanza, o rimasero alla fonda nei porti, o furono impegnate nelle scorte ai convogli. L’unico grande scontro navale diretto tra due formazioni, la Grand Fleet britannica e l’intera Hochseeflotte tedesca, nel maggio del 1916 nella battaglia dello Jutland, si risolse in pratica senza vincitori né vinti, lasciando in fondo al Mare del Nord complessivamente ventitrè unità tra corazzate e incrociatori e oltre diecimila uomini.
La Grande guerra sul mare occupò tutti gli oceani, i bacini e gli specchi d’acqua del mondo, dall’ Atlantico al Mediterraneo, dal Baltico al Mar Nero, dai Dardanelli a all’Oceano Pacifico e all’Oceano Indiano. Le moderne corazzate . dreadnought e i nuovi incrociatori da battaglia non riuscirono a tenere la scena nei confronti di un’arma sulla quale nessun ammiragliato, all’inizio delle ostilità, era pronto a scommettere: il sommergibile. L’idea di un attacco condotto dalle oscure profondità del mare piuttosto che in superficie, in un aperto e leale confronto a tu per tu con il nemico, non convinceva nessuno. I sommergibili erano considerati armi sperimentali, poco affidabili e vulnerabili. Non davano occasione per alcuna dimostrazione di coraggio, trasformavano i marinai in pirati: quale eroe sarebbe mai emerso dalle fredde e buie profondità marine?
Di fatto, i sommergibili cambiarono il modo di combattere sul mare: per la prima volta furono usati in massa contro le unità navali di superficie, soprattutto contro il traffico mercantile. Le regole internazionali stabilite all’inizio del conflitto - che prevedevano l’affondamento delle unità civili solo dopo averle fermate, ispezionate e aver concesso all’equipaggio tutto il tempo necessario per mettersi in salvo - presto sarebbero saltate con la recrudescenza degli scontri, l’affinamento delle tecniche anti-sommergibili come l’uso degli idrofoni e l’impiego di navi armate camuffate da mercantili. Alla fine, l’impiego degli U-Boot tedeschi in Atlantico rappresentò la prima grande campagna sommergibilistica della storia, e azioni come l’affondamento del transatlantico “Lusitania” il 7 maggio 1915 da parte del sommergibile tedesco U-20 al largo delle coste meridionali dell’Irlanda - con la morte di 1.201 passeggeri - segnarono l’inizio di un modo di condurre la guerra in mare senza più remore né pietà.
In Adriatico, dove, con l’entrata nel conflitto dell’Italia, la flotta austro-ungarica si trovò sola contro le forze navali Alleate, la Grande guerra assunse più che altrove i tratti di una guerra insidiosa. La flotta austro-ungarica si chiuse nei suoi porti sfruttando il vantaggio della frastagliata e protetta costa orientale, mentre le navi italiane e alleate furono libere di scorrazzare su e giù per l’Adriatico.
Tuttavia dopo l’affondamento dell’incrociatore ”Amalfi”, colpito dall’ U-26 (il sommergibile tedesco U-14 che batteva bandiera austriaca), l’ammiragliato italiano decise di concentrare le unità di squadra a Brindisi e Taranto lasciando a Mas e sommergibili il compito di tenere sotto scacco le unità della k.u.k. Kriegsmarine più a nord.
Quando, la notte del 9 dicembre 1917, Luigi Rizzo con i suoi Mas entrò nella baia di Muggia colando a picco la nave da battaglia “Wien” - un pericolo per le batterie costiere di Cortellazzo -, e un anno dopo fece lo stesso con la corazzata “Szent István”, intercettata e silurata proprio mentre con una potente squadra navale si avviava a forzare una volta per tutte lo sbarramento del Canale d’Otranto, fu chiaro che i mezzi insidiosi stavano scrivendo un nuovo capitolo nelle strategie dei conflitti navali. Come, dopo la prima, ben dimostrerà la seconda Guerra mondiale.
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