L’Istituto Rittmeyer nega l’appartamento in affitto a una famiglia pachistana

Il caso segnalato dalla cooperativa Querciambiente per cui lavora l’uomo che avrebbe firmato il contratto. La replica: «Tutto in regola» 
L'istituto Rittmeyer di Trieste (Lasorte)
L'istituto Rittmeyer di Trieste (Lasorte)

la storia

Lilli Goriup

Il signor K. cerca casa. Non si tratta del protagonista di un romanzo di Kafka perseguitato da un arcano potere impersonale, bensì di un cittadino pachistano, socio lavoratore della cooperativa Querciambiente. La sua storia è raccontata dal presidente dell’ente, Dario Parisini, in una lettera al Piccolo datata 4 agosto.

«L’antecedente: il signor K. cinque anni fa fugge da un contesto in cui non vengono rispettati i diritti fondamentali dell’uomo. Il dolore di dover lasciare la sua terra è amplificato dal fatto che lascia anche moglie e tre bimbi - scrive Parisini -. Due anni fa incontra noi. Dopo un percorso formativo nella manutenzione delle aree verdi, viene assunto dapprima a termine e poi a tempo indeterminato. Infine, su sua richiesta, diventa socio di Querciambiente». Si arriva così a fine luglio, quando K. ha finalmente la possibilità di avviare l’iter per quello che in termini tecnici si definisce ricongiungimento familiare.

«Per consentire alla famiglia di raggiungerlo, deve trovare un contesto abitativo adeguato. Con l’aiuto dei colleghi ne individua uno, a canone mensile non troppo alto», prosegue Parisini: «A visitarlo lo accompagno io stesso. L’agenzia immobiliare ci informa che proprietario dell’immobile è l’Istituto regionale per i ciechi Rittmeyer , azienda pubblica per i servizi alla persona, che normalmente richiede un garante: rispondo che la cooperativa intende svolgere tale funzione, specificando inoltre lo scopo del ricongiungimento familiare». Fin qui sembra andare tutto bene.

Ma le grandi speranze durano 24 ore: «Il giorno dopo l’agente immobiliare, imbarazzata, ci comunica che l’Istituto non affitta a chi richiede il ricongiungimento familiare. Contatto dunque lo stesso Istituto, fino a riuscire a parlare con la direttrice, Elena Weber: mi conferma il diniego, specificando che risiede in presunti vincoli normativi e adempimenti burocratici che impegnerebbero l’Istituto a dichiarare l’idoneità dell’immobile, nello specifico per l’accoglienza del nucleo familiare». Il presidente della cooperativa invia dunque alla direttrice una prima mail, in cui espone una serie di argomenti per cui, a suo giudizio, non esiste alcun impedimento legale alla concessione dell’alloggio.

Una settimana dopo le invia un’altra mail, sostenendo di non aver ricevuto risposta. E qualche giorno dopo ancora decide di scrivere alla nostra redazione: «L’Istituto non è tenuto a dare l’immobile in affitto a K., però è tenuto a spiegare il rifiuto: in assenza di una motivazione plausibile, sorge il sospetto che si tratti di una discriminazione attuata da un ente pubblico».

Contattata telefonicamente per una replica, la direttrice dell’Istituto per i ciechi Rittmeyer spiega che il diniego è dovuto al fatto che l’appartamento è stato assegnato a un miglior offerente: «Ciò è previsto dalla procedura e dalla normativa vigente - afferma -. Le rendite immobiliari servono infatti a perseguire i fini dell’Istituto. Non abbiamo la presunzione di escludere qualcuno a priori, né c’entra il ricongiungimento familiare».

Intanto, fa sapere Parisini, oggi «K. deve lasciare il suo attuale alloggio. I colleghi lo ospiteranno, affinché non vada a dormire in stazione». —

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