L’omaggio di Gino Paoli a Monfalcone, la sua città: «Fucina di talenti e terra di integrazione»

Dopo il concerto annullato per motivi di salute 
Altran Mf-Gino Paoli in città
Altran Mf-Gino Paoli in città

MONFALCONE Sono passati ormai 84 anni (il 23 settembre saranno 85) da quando Gino Paoli, il cantautore di alcune tra le più belle pagine della musica italiana, venne alla luce a Monfalcone, in via Roma 46, nel letto di sua zia Giuditta Rossi. E ieri, a dieci anni di distanza da quando il Comune gli consegnò la “Rocca d’oro” , riconoscimento a un artista che non ha mai nascosto le sue origini monfalconesi, Gino Paoli sarebbe dovuto ritornare nella sua città natale per un concerto molto atteso al Teatro comunale. Avrebbe dovuto ripercorrere i suoi celebri successi insieme al pianista Danilo Rea, fra i jazzisti italiani affermati anche a livello internazionale: ha suonato con i nomi più grandi, Chet Baker, per dirne uno.

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I due artisti collaborano già da tempo e sono un esempio prezioso di come i grandi classici possano essere interpretati in modo innovativo. Ma giovedì un imprevisto ha obbligato i due big ad annullare la serata. Già quest’estate Gino Paoli aveva avuto un acciacco di salute che gli ha impedito di tenere il concerto previsto sulla Diga di Grado. E adesso purtroppo un colpo della strega l’ha costretto al riposo. «Mi spiace tantissimo, ci tenevo molto» s’è quasi scusato, rassicurando subito sul rinvio della data, che ieri mattina il Teatro comunale ha fissato a lunedì primo aprile. Ma per Gino Paoli tornare era davvero importante, così tanto da volerci raccontare al telefono un po’ di quel passato che, almeno emotivamente, lo tiene ancora legato a Monfalcone.

Cosa si ricorda della sua infanzia?

A Monfalcone viveva mia zia, Giuditta Rossi, è scomparsa nel 2001 a 98 anni. La amavo moltissimo, compiva gli anni il 14 agosto e per il suo compleanno, ovunque fossi, tornavo a Monfalcone per farle una visita. Era una donna molto intelligente. Mi raccontava di quando, durante la prima guerra mondiale, i profughi monfalconesi si trasferirono in Austria. Fu lei a spiegarmi che in seguito Monfalcone conobbe l’immigrazione dal Sud d’Italia. Persone che adesso sono perfettamente integrate.

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Restando in tema di immigrazione, oggi Monfalcone ha un’elevata percentuale di stranieri, il 23,5 per cento. Cosa ne pensa?

«Penso che come è già successo in passato, ci dovrà essere spazio per l’integrazione. I monfalconesi sono per buona parte figli di migranti, la loro storia è una premessa per un’integrazione che dovrebbe essere facile. D’altronde il Cantiere ha sempre avuto bisogno di manodopera.

Anche la sua famiglia lavorava in Cantiere?

«Mia zia faceva l’impiegata lì e ogni giorno andava a lavorare in bicicletta. Mio padre, ingegnere navale, lavorava a Genova. Ma i cantieri di allestimento erano situati a Monfalcone, così lui si è trovato qui per lavoro quando incontrò mia madre al Circolo Ufficiali. Così iniziò la loro storia. E poi, quando per mia madre giunse il momento di farmi nascere, decise di tornare da sua mamma, che aveva una levatrice di fiducia. Così sono nato io, a casa, nel letto di mia zia.

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Una decina d’anni fa propose di trasformare la sua villa di via Roma in Casa della musica. Oggi la villa è ancora disabitata. Cosa ne è stato di quel progetto?

«Non se ne fece niente. Dopo la morte di mia zia, mia cugina Luisa decise di venderla e ho perso le tracce dei nuovi proprietari. Anche perché anche Luisa qualche anno fa è morta. Un vero peccato perché quella casa ha una storia non da poco. Prima fu la sede del Comando austriaco, poi italiano. Sotto c’è ancora una sorta di bunker, mio zio decise di chiuderlo perché era pericoloso per noi che eravamo bambini».

Lei, insieme a Bruno Lauzi, Fabrizio De André e Luigi Tenco, costituì il nucleo della cosiddetta scuola genovese. Quali sono secondo lei i cantautori contemporanei più promettenti? «Elisa, non v’è dubbio. Quando la vidi in un programma di Red Ronnie, lo chiamai subito per dirgli che lei aveva del talento e che volevo farla crescere. Scoprii così che già Caterina Caselli l’aveva notata. Come vede, torniamo a Monfalcone: una terra che è sempre stata fucina di talenti: fra questi è doveroso ricordare Paolo Rossi». –


 

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