L’Oriente nella Trieste dell’800

TRIESTE. Riapre i battenti questa sera, alle 21, dopo un’operazione di “restyling”, il Museo d’arte orientale di Palazzetto Leo. La mostra “Sguardo oltre levante”, allestita per non lasciare a bocca asciutta - e con la delusione di un affascinante edificio chiuso per ferie in pieno centro - i turisti ferragostani e i tanti triestini rimasti in città, è un percorso realizzato “incrociando” immagini dall’Estremo Oriente custodite nella Fototeca comunale e porcellane cinesi presenti nella collezione del museo. Una mostra, insomma, per riscoprire o conoscere piccoli tesori che Trieste ha in casa. In linea con gli obiettivi del sindaco Cosolini e dell’assessore alla Cultura Franco Miracco, che, in attesa di ripensare l’intero sistema museale triestino, puntano a “fidelizzare” il pubblico con mostre a tema e “ruotando” il materiale esposto, a verificare la possibilità di “contaminare” le collezioni pubbliche, utilizzando le immagini della fototeca come trait d’union e, infine, a rendere gli allestimenti più accattivanti, con più luce, colore, video. “Effetti speciali” - li chiamano - con cui portare più pubblico all’interno dei tanti, e spesso deserti musei cittadini, ma con un occhio alle ristrettezze dei bilanci.
Tutti pazzi per Cina e Giappone, a Trieste, durante l’800 e fino alla Grande guerra, come testimoniano le immagini realizzate in un momento in cui la fotografia, passata da curiosità a strumento di conoscenza di mondi lontani, inizia a svilupparsi come industria e regala a curiosi, collezionisti, avanguardie di turisti a caccia di souvenir, le suggestioni dei nuovi mondi. Sono gli anni in cui l’orientalismo affascina, come ci racconta Edmund de Waal nel suo libro “Un’eredità di avorio e ambra”, biografia familiare ricostruita attraverso le peripezie di una raccolta di nazuke, le microscopiche e splendide statuine giapponesi. Trieste non fa eccezione, grazie ai prodotti che arrivano sulle navi che salpano e ritornano in porto, sui piroscafi del Lloyd, tra i primi a utilizzare il Canale di Suez, sulle fregate e corvette della Marina austriaca che circumnavigano il globo.
Il fotografo di viaggio più rappresentativo di questo periodo, presente nelle collezioni della Fototeca, è Wilhelm J. Burger, attivo in Giappone accanto a professionisti nipponici della scuola di Yokohama. Nell’obbiettivo degli occidentali, un mondo in profonda trasformazione sociale, come il Giappone che passa dallo shogunato Tokugawa al “periodo del regno illuminato”, viene cristallizzato nelle fanciulle in kimono, nei samurai e nei soggetti legati alla tradizione. Sono spesso stereotipi, semplificazioni se non veri e propri fraintendimenti, che favoriscono comunque un dialogo culturale. La Cina esprime invece i suoi soggetti tradizionali attraverso un linguaggio derivato dall’insegnamento europeo e dovrà passare del tempo prima che elabori uno stile proprio. Le tante cartoline presenti in mostra raccontano come la diffusione delle immagini avvenga anche via posta.
È ricca la collezione di porcellane cinesi del Museo d’arte orientale, che nella mostra amplia il numero di esemplari esposti e permette di osservare le molte varietà prodotte nei secoli, mettendole a confronto con coeve maioliche e porcellane italiane ed europee di gusto orientaleggiante. Si deve ancora una volta alle vicende mercantili la presenza a Trieste di questi preziosi oggetti, che accomunano la città a Genova e Venezia. Il commercio con la Cina risale alla fine del Settecento, ma la passione per le “cineserie” scoppia nel 1822, al ritorno in porto, e carica di oggetti di ogni tipo, della fregata Carolina, la prima nave austriaca a recarsi in quel paese.
L’apertura del Gabinetto cinese Wüunsch negli anni ’40 dell’800 e gli interessi dell’arciduca Ferdinando Massimiliano, appassionato collezionista di oggetti esotici e di porcellana cinese, dimostrano una continuità di interesse che si prolunga fino ai due donatori cui si deve, nel ’900, la maggior parte della raccolta museale triestina: Carlo Zanella (1853-1900), agente del Lloyd a Hong Kong, dove assemblò la sua collezione, e Mario Morpurgo de Nilma (1867-1943), il munifico donatore dell’attuale Museo Morpurgo, che comprende una raccolta di stampe e surimono giapponesi e un’importante collezione di maioliche occidentali.
In mostra a Palazzetto Leo un piccolo compendio della storia della porcellana cinese, fino al ’700 considerata in Europa un tesoro misterioso, che nessuno è in grado di produrre. Si vedranno i “céladon”, antichi vasi color verde giada del XII-XIV secolo, le porcellane in blu di cobalto sotto coperta, le statuine “blanc de Chine”, le decorazioni a smalti policromi delle cosiddette “famille verte” e “famille rose” dei secoli XVIII e XIX.
Con “Sguardo oltre levante” - visitabile fino al 13 ottobre - il Museo d’arte orientale riapre quotidianamente, tranne il lunedì, dalle 10 alle 19. La mostra è stata curata da Claudia Morgan e Michela Messina, con la collaborazione di Elisa Vecchione, Adriana Caseertano per le ricerche fotografiche e di Lorenzo Michelli per il progetto di allestimento. Le difficoltà di bilancio - fa sapere l’assessore Miracco - hanno ritardato la riapertura di Palazzetto Leo, prevista per inizio estate, ma adesso c’è la volontà di recuperare il tempo perduto, allestendo un’altra mostra in autunno.
@boria_A
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