Lungo la ferrovia del cantiere inseguendo 107 anni di storia

Sulla linea da Ronchi “inferiore” a Panzano sono transitati convogli carichi di legname, lamiere e operai. Ora verrà trasformata in una pista ciclabile
Di Roberto Covaz
Bonaventura Monfalcone-21.02.2017 Ferrovia vecchia-Monfalcone-foto di Katia Bonaventura
Bonaventura Monfalcone-21.02.2017 Ferrovia vecchia-Monfalcone-foto di Katia Bonaventura

I legionari di D’Annunzio partirono da Ronchi per Fiume il 12 settembre del 1919. Ronchi non era ancora dei Legionari, ma Ronchi Friulana. Otto chilometri più giù, verso il mare, il cantiere annaspava in una crisi di commesse senza soluzione. Che invece fu trovata: al posto delle navi si costruirono vagoni ferroviari. Già, ma come trasportarli fino ai binari più vicini? Venne ripescata un’idea di qualche anno prima, la costruzione di un raccordo ferroviario tra la stazione di Ronchi Inferiore e lo stabilimento di Panzano. Le pratiche per gli espropri erano state avviate nell’aprile del 1919. Un anno e mezzo dopo il raccordo era pronto.

Lungo quei binari è passata la storia del cantiere navale del Cnt, del Crda, dell’Italcantieri e della Fincantieri. Sui carri trainati da fumanti locomotive ecco sfilare gigantesche lamiere, vagoni passeggeri con a bordo gli operai provenienti dalla Bassa e ancora montagne di legname da scaricare nella “foresta”, l’attuale parco lamiere con l’ingresso in viale Oscar Cosulich.

Novantasei anni dopo quei binari sono destinati a sparire, lasciando spazio a una pista ciclabile la cui realizzazione appare piuttosto sofferta. Nelle settimane scorse il Comune di Monfalcone e Fincantieri si sono accordate su una serie di reciproche alienazioni e acquisizioni. Al patrimonio del Comune, per un importo di 276mila euro, sarà acquisito il vecchio sedime ferroviario, una sorta di cesura tra la Monfalcone cittadina e la sua proiezione operaia, il quartiere di Panzano.

Ma il vecchio raccordo porta in dote un dono prezioso: la memoria di una città oggi solo immaginata.

Ed eccoci dunque in questo viaggio a ritroso nel tempo calpestando le erose traversine in legno, liberate dalla presa dei binari ormai quasi del tutto sconnessi.

Si parte dalla stazione di Ronchi Sud. Un cancello arrugginito indica il punto in cui il raccordo interseca con la linea Venezia-Trieste. Il degrado e un’aggressiva vegetazione oltraggiano senza vergogna questo sito che ha rappresentato per decenni un approdo: la partenza o l’arrivo. Proseguendo, alcune centinaia di metri dopo si giunge alle spalle dell’ex albergo alla Carlina. L’edificio disabitato, in vendita da anni, è a suo modo un monumento: alla Carlina, come altri ristoranti-alberghi cittadini, sorse sulla scia del cosiddetto boom economico, quando finalmente anche gli operai del cantiere, magari con la famiglia in sella a una Vespa fiammante, potevano permettersi di tanto in tanto un pranzo in trattoria. L’ex albergo nasconde una zona particolare di Monfalcone. Il discreto vicolo San Fedele dischiude forse una delle ultime cartoline della Monfalcone agricola. Siamo nel rione di Aris, il cui toponimo deriverebbe da una mutazione del termine latino sponda. Forse per indicare l’argine dell’antico alveo dell’Isonzo? In lontananza i cipressi del cimitero comunale oscurano un’orizzonte che fino al 1954, data di costruzione del camposanto, si allungava su infiniti filari di vigneti. Dei quali oggi resistono quelli della secolare (1910) azienda Vigneti Conte.

Avanti verso il mare e dopo pochi metri ecco un altro luogo a suo modo storico della città: l’ex Lazzaretto. Si tratta delle case popolari che si affacciano su via 24 Maggio. Lazzaretto non è un toponimo, oggi potremmo definirlo un oltraggio. Negli anni Cinquanta, in alloggi fatiscenti trovarono riparo decine e decine di “immigrati” richiamati dalle campagne dalle sirene del cantiere. Monfalcone non riusciva a fornire risposte degne alla fame di case stimolata dalla crescita del cantiere. A dire il vero gli attuali edifici avrebbero bisogno di un maquillage sostanzioso. Considerazioni spazzate dal gioioso vociare degli alunni della scuola Battisti, frutto anch’essa dell’espansione demografica di Monfalcone degli anni Settanta. Chissà quanti monfalconesi sanno dell’esistenza della minuscola via San Gregorio. Eppure esiste, protetta da San Nicolò, cui è dedicata la via che parte davanti all’antica, omonima chiesa. I meno giovani ricorderanno l’eccentrica cripta del pirata Musmezzi, tomba che con il suo stile arabesco sembrava voler quasi oscurare il tempio cristiano. E ancora, nel rione di San Nicolò, come scordare la fabbrica di laterizi Bega.

Via Canaletto è un’altra pagina che racconta della crescita di Monfalcone. Risale ai primi anni Novanta la robusta urbanizzazione della zona: la costruzione della scuola è stata una conseguenza. In alcuni incroci tra la ferrovia e le strade persistono le cabine di controllo delle ferrovia, profanate dai vandali, alcune a rischio crollo. In via Terenziana un peluche legato a un palo ricorda come l’incrocio sia stato teatro di un terribile incidente.

Il passo accelera, il viandante è come un magnete attratto dalla montagna d’acciaio del cantieri. All’orizzonte si scorgono le gigantesche gru, grue per dire a modo nostro. Il tratto lungo via Aquileia è il punto dove più evidente risulta la ferita inferta all’urbanistica cittadina dalla ferrovia. Ma anche in questo caso la storia spazza le considerazioni. Colorate alcune, ridotte a ruderi altre, lungo via Sanzio si affacciano le baracche Wagna, casupole capaci di offrire un tetto ai profughi monfalconesi di ritorno dai campi di internamento durante la Grande guerra.

Eccoci a Panzano, nel quartiere operaio. Ed è curioso notare come percorrendo l’antica ferrovia sembra di addentrarsi in un elegante quartiere residenziale anziché di semplici maestranze. Le ville dei Cosulich, l’ex albergo impiegati, il circolo del tennis; peccato per la demolizione del bunker. Luogo tranquillo, non a caso lì è sorta una colonia felina. Siamo arrivati al capolinea di questo viaggio. Sembra di sentire il fischio della locomotiva, lo strombazzare dei clacson premuti da automobilisti impazienti costretti ad aspettare il transito dei convogli. Ora toccherà alle biciclette sostituire i vagoni. Segno dei tempi, purché in qualche modo si viaggi nella nostra storia.

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