Manovre dietro il crac Diaco: macchinario venduto due volte

di Claudio Ernè
Iniziative ambigue, manovre poche chiare, comportamenti opportunistici.
Tutto questo stava accadendo, secondo la Procura della Repubblica, a margine del tentativo di salvare l’attività della “Diaco spa”, l’azienda farmaceutica di cui il pm Federico Frezza ha chiesto il fallimento fin dal 12 ottobre scorso.
Le “iniziative ambigue” e le “manovre opportunistiche” avevano come obiettivo l’apparecchiatura che produce il paracetamolo, il principio attivo della Tachipirina. La Procura ha chiesto il sequestro civile di questo macchinario in base alle legge fallimentare e il Tribunale presieduto dal giudice Giovanni Sansone lo ha concesso poche ore dopo, proprio per salvare le trattative di affitto d’azienda che il commissario liquidatore Enrico Bran ha avviato con almeno tre aziende del settore. Queste trattative ovviamente, devono partire da una base comune, in cui ogni concorrente ha gli stessi diritti e doveri. Invece stava accadendo qualcosa di non ben definito su cui la magistratura è intervenuta a tempo di record.
Se infatti la macchina per produrre il paracetamolo - valore un milione e mezzo di euro - fosse uscita dallo stabilimento della “Diaco” di Tito Scalo in provincia di Potenza, i pretendenti all’affitto con buona probabilità avrebbero preso il largo e l’azienda avrebbe inevitabilmente corso il rischio di chiudere definitivamente i battenti, lasciando a casa altri 70 operai e tecnici oltre al centinaio già rimasti senza lavoro in conseguenza del fallimento dei “Laboratori Biomedicali Diaco spa”.
Oltre a sequestrare la macchina “riempitrice - tappatrice” il pm Federico Frezza ha fatto perquisire dagli investigatori della Guardia di finanza alcuni uffici della ditta “GF spa” di Parma, costruttrice della macchina al centro di questa vicenda. La “riempitrice - tappatrice” era stata ordinata dalla “Diaco spa” il 5 maggio scorso: prezzo stabilito un milione e 400 mila euro. Il 23 maggio la “GF spa” aveva accettato l’ordine, iponendo alla controparte una precisa condizione: che entro due settimane fosse approvata un’ipoteca notarile a garanzia della fornitura. Il macchinario era stato installato nello stabilimento di Potenza ma non è mai stato pagato proprio in conseguenza dell’ipoteca notarile che la “Gf spa” aveva voluto a garanzia.
Per quattro mesi tutto era filato liscio. Poi il 23 settembre scorso la stessa macchina già installata nello stabilimento di Potenza, risulta venduta a “Futura 96” proprietaria tra l’altro del castelletto della Cave Faccanoni in cui vive Pierpaolo Cerani, già leader del gruppo farmaceutico in gravi difficoltà. In altri termini, secondo la ricostruzione dei fatti messa a fuoco dagli inquirenti, la “GF spa” ha venduto a settembre la stessa apparecchiatura già ceduta tra maggio e giugno alla “Diaco spa”.
Ma non basta. Il sequestro è stato concesso dal Tribunale perché una postilla inserita nel contratto prevedeva che il contratto stesso fosse considerato risolto in “data odierna”: la data “odierna” era il 12 ottobre scorso, il giorno in cui il pm Fedrico Frezza aveva chiesto il fallimento della “Diaco spa”.
Il Tribunale di fronte a questa situazione ha agito a tutela dell’integrità aziendale che l’iniziativa targata “GF spa” metteva a rischio nonostante il commissario liquidatore avesse offerto di pagare il prezzo pieno chiesto per la “riempitrice- tappatrice”. L’offerta era stata però declinata.
Da qui la reazione dei magistrati che con il sequestro civile hanno inteso lanciare un segnale preciso e forte e chiaro in vista dell’asta che deve essere finalizzata alla soddisfazione massina dei creditori e non all’utile di questa o quell’azienda.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Piccolo