Marisa guida la protesta dopo una vita a Servola

Aveva già pensato ai mobili, li voleva chiari perché mettono allegria. «Ho passato giorni a immaginarmi come arredare, quali tende prendere, il divano da scegliere...». In quelle settimane, a inizio giugno, la sessantacinquenne Marisa Bertocchi era davvero felice: l’avevano chiamata dall’Ater per firmare il contratto e consegnarle le chiavi. Un nuovo appartamento in via Negri, a Coloncovez, da 49 metri quadri. Per ottenerlo aveva partecipato a un bando del 2011. Aspettava la casa da cinque lunghi anni, dopo una vita trascorsa nel complesso residenziale per persone in difficoltà e sfrattati, il Caccia Burlo di via Soncini a Servola, prima in 36 metri quadrati e poi in 54. Cercava un’altra abitazione perché ormai, senza ascensore e con un problema a un piede, fatica a fare le scale. Curiosamente, però, negli uffici Ater nessuno le mostra nulla del suo futuro alloggio. «Mi hanno consegnato una semplice piantina...».
Marisa, come tanti altri inquilini, ha accettato a scatola chiusa. Oggi, ripercorrendo quei momenti, ricorda le proteste che sentiva agli sportelli quando andava a informarsi. «La gente in fila parlava di cose che non andavano, ma non ci ho dato troppo peso. Mi son detta: speriamo che per me vada tutto bene». Le sorprese cominciano subito, fin da quel 15 settembre, quando mette piede in casa. Anzi, già sotto, in pianerottolo. «Sono venuta con mia sorella, che è disabile ed è in carrozzina - racconta Marisa -. Ho voluto che mi accompagnasse lei, che ci fosse lei con me quel giorno». L’abitazione della signora Bertocchi è all’ultimo piano del civico 25. Per raggiungerlo, con la sorella così, serve l’ascensore. «Entriamo, ma non funziona». Sarà la prima di una lunga serie di delusioni. La seconda, forse la peggiore, arriva immediatamente appena varca l’ingresso dell’appartamento: le stanze sono una specie di cantiere. Gli operai le hanno lasciate senza dipingere i muri. “Grezze”, come si dice. Spenderà 750 euro di tasca sua per tinteggiare. Non sono bazzecole per lei che deve tirare avanti con una pensione Inps di 382 euro; 100 le vanno per l’affitto dell’abitazione di via Negri. «Questa è la mia realtà, per vivere mi arrangio con altri lavoretti in giro». Ha fatto di tutto, la signora Bertocchi: la commessa, la cameriera, la cuoca e l’assistente agli anziani. «Per fortuna nella mia vita ho sempre lavorato e ho messo un po’ di soldi da parte, quindi sono riuscita sistemare e ad arredare l’appartamento». Ma Marisa presto si accorge anche delle altre magagne: la porta rotta in bagno, le finestre che non si aprono in veranda, le piastrelle rotte in soggiorno. Il gas non va e la caldaia spande. Manca pure l’acqua calda. «Non capivo perché - osserva - pensavo di trovare tutto a posto e invece spuntavano guasti di continuo». Ma Bertocchi non è la sola ad accusare, fin dal primo giorno, disagi di ogni tipo. «Incontravo le altre persone sulle scale e in strada, tutti che si lamentavano...». «C’era chi aveva i vetri rotti, le caldaie che spandono e impianti che non funzionano, infissi e verande storte o controsoffitti che cedevano». Ha preso un foglio appuntandosi tutto. Dopo un mese di segnalazioni e proteste all’Ater ha deciso di rendere pubblico l’accaduto facendosi portavoce della rivolta di via Negri. «Non è una battaglia personale, ma la pretesa del riconoscimento dei nostri diritti - spiega - perché non è giusto che le persone vengano trattate così».
È più di un mese che la signora è costretta a cucinare con un fornello elettrico perché la valvola del gas è ancora fuori uso. «L’Ater mi ha messo in contatto con una ditta di Verona - rimarca - assicurandomi che così avrei risolto il problema. Ma quando l’ho contattata mi hanno detto che mai avrebbero fatto 300 chilometri per la riparazione. Sono ancora qui che aspetto». La signora non intende mollare. «No, è giusto che l’Ater, che è un ente pubblico, si dia da fare. Per me, come tante altre persone che abitano qua, è stata una grande delusione. Noi vogliamo giustizia, non domandiamo niente di più di ciò che ci spetta. Mi hanno dato un appartamento nuovo, facendomi credere che fosse tutto a posto ma così purtroppo non era. Dopo tutte le telefonate e le lettere che abbiamo mandato, avvertiamo soltanto disinteresse. Ci sentiamo abbandonati». (g.s.)
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