Materiali e residui sparsi su 500 ettari

Acqua torbida nel tratto dallo Scalo Legnami al Rio Ospo che include anche l’ex Esso a Zaule e l’ex Aquila a Muggia
Silvano Trieste 20/02/2017 La zona del Termovalorizzatore
Silvano Trieste 20/02/2017 La zona del Termovalorizzatore

Forse non servono grandi esperti per rendersi conto di cos’è quella parte di lungomare che va da Scalo Legnami a Rio Ospo. Acqua torbida, a tratti oleosa. Tra piccole spiagge e banchine per lo scarico delle merci, si intravedono pezzi di lamiera, taniche e copertoni di auto e camion. Un inquinamento di proporzioni mai quantificate davvero che racconta la storia industriale di Trieste, dove sono state autorizzate discariche un tempo pienamente legali. La costa in buona sostanza coincide con la planimetria ufficiale del Sin, il Sito di interesse nazionale, giudicato inquinato e quindi soggetto a studi e bonifiche.

Questione annosa e che blocca lo sviluppo imprenditoriale della città. Si parla di 500 ettari di terreno dove sono insediate decine di imprese e altri 1.200 a mare in cui rientra a pieno titolo pure il Canale Navigabile. È la linea di mare appunto, evidentemente contaminata. A cominciare dalla superficie occupata dalla Ferriera, come noto, oggetto di interventi di risanamento e progetti per impedire lo sversamento dei materiali. Nel novero rientra soprattutto l’area dell’ex Esso, vicino a Zaule, secondo alcuni il punto peggiore in assoluto nel Nord Adriatico. L’area è stata sede di attività di raffinazione del greggio dal 1895 al 1967; successivamente è stata affiancata pure la raffinazione di oli lubrificanti. Nel ’69 il sito è stato adibito a deposito costiero della Esso Standard Italiana spa, rimasto all’opera fino al ’79. Durante tutto quel periodo varie aree demaniali del litorale sono state impiegate per l’accumulo di residui delle lavorazioni (olii, morchie e fanghi bituminosi). Il tratto è stato restituito al demanio nel 1982 senza alcuna bonifica. Studi, in quel punto, non sono mancati: nel suolo e in acqua in passato e a diverse riprese è stata accertata la presenza di residui catraminosi, idrocarburi, ceneri da inceneritore, metalli pesanti (mercurio, cadmio, piombo e nichel), compreso l’amianto. Per non parlare della zona ex Aquila a Muggia che un tempo ospitava una raffineria. Una parte è stata acquistata dalla Teseco che punta alla bonifica. La stessa ex discarica di via Errera, il grande problema che si sta riaffacciando ora, giace nel perimetro del Sin, all’interno del “Comparto Grandi Operatori”, come definito nell’accordo di programma del 25 maggio 2012. L’area ricade proprio tra i punti “presuntivamente” inquinati dagli enti pubblici. Già, enti pubblici, perché è stata proprio la Regione Friuli Venezia Giulia, con decreto n. 426 del 24 agosto 1983, ad autorizzare il Comune di Trieste allo scarico di materiali solidi inerti nello specchio acqueo tra il Canale Navigabile di Zaule e via Errera, ai sensi delle normative vigenti in quel periodo (legge regionale del 13 luglio 1981, articolo 15). La gestione della discarica è stata concessa sempre dalla Regione Fvg con decreto del 19 ottobre 1983. È ubicata proprio a valle dell’ex Esso e a Ovest del terrapieno realizzato a partire dagli anni ’40 e fino alla fine degli anni ’70 in tutta l’area della sponda Nord del Canale. Un pezzo di terra messo su con le macerie dei bombardamenti e con il parziale sbancamento del Monte San Pantaleone, nonché con i rifiuti provenienti da altre discariche comunali. (g.s.)

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