Mobili, libri, suppellettili che nessuno reclamò

Sarà riaperto al pubblico a dieci anni di distanza dalla prima - e unica - volta in cui l’Irci organizzò una giornata di visite. È il Magazzino 18 di Porto Vecchio, quello in cui giace ciò che è rimasto delle masserizie che migliaia di esuli, dal 1947 fino a metà anni Cinquanta, fecero partire dalla loro terra pensando di riutilizzarle in un futuro allora completamente oscuro, ma che speravano in qualche modo di costruire. Nelle mattinate da domani e fino a venerdì, quanti si sono prenotati raggiungeranno l’hangar, vicino al 26, la cui porzione occupata dalle masserizie il direttore dell’Irci Piero Delbello assieme a un gruppetto di persone ha provveduto nelle ultime settimane a risistemare nel percorso che attraversa oggetti di un’ordinaria quotidianità inghiottita dalla crudezza dell’esodo.
Cosa si potrà vedere? Decine di volti, innanzitutto, fissati in grandi foto in bianco e nero. Volti che abitavano ambienti come quelli ricostruiti nella sala che l’Irci creò in occasione dell’apertura del Magazzino dieci anni fa: un pezzo di cucina, qualche carrozzina, giochi di bimbi, un catino poggiato su un tavolinetto, un letto che racconta ancora la sua provenienza: “Acomin”, vi si legge, acronimo dell’Agenzia commerciale marittima internazionale che da Pola quel mobile aveva fatto arrivare. A centinaia, ce ne sono, di letti, mobili da tinello, credenze. Dicono di case modeste, così come altrettanto fa la montagna di sedie accatastate in un angolo di uno degli ambienti lunghi decine di metri in cui quei mobili sono collocati. E poi attrezzi di lavoro agricolo, e ancora pezzi di una farmacia - compreso il volume di una “Farmacopea ufficiale del Regno d’Italia” - che qualcuno avrà pensato di riaprire altrove. E ancora suppellettili, una macchina per caffè da bar, borse di paglia, macchine per cucire e perfino indumenti lasciati nei bauli. Così come nei bauli gli esuli stiparono libri e quaderni di scuola, spartiti musicali e registri commerciali. Ogni famiglia aveva il suo “cubo”, pronto per essere risistemato altrove.
Non fu il Magazzino 18 la destinazione prima di tutte quelle cose: affidato alla gestione prefettizia, il materiale in arrivo venne accatastato dapprima nel Magazzino 22 dove rimase fino al 1988, quando l’edificio venne demolito. Il 1978 fu l’anno dell’ultimo appello: l’occasione estrema, per chi ancora lo volesse, di recuperare quelle masserizie di cui tanti, per mille motivi, non tornarono a reclamare il possesso. Nel 22, nel tempo, arrivarono così anche le cose originariamente depositate in altre città d’Italia e solo in un momento successivo, se rimaste senza proprietario, trasportate tutte in Porto Vecchio. All’epoca della demolizione del Magazzino 22 una parte delle masserizie andò perduta con l’arrivo delle ruspe: durante lo sgombero poi divampò un incendio che distrusse altro materiale. Ciò che si riuscì a salvare fu collocato nel Magazzino 26: era il periodo in cui le masserizie, nel frattempo classificate “res nullius”, vennero donate dalla Prefettura all’allora neonato Irci, l’Istituto regionale per la cultura istriano-fiumano-dalmata.
Il restauro del 26 impose l’ennesimo trasloco, al 18. Dove oggi, dice Delbello che a questo frammento di storia ha dedicato anche un libro, sta quanto è rimasto: «Più o meno la metà» di ciò che giunse a Trieste. «Cose che hanno un senso e un significato simbolico, quale nostra Ellis Island, se mantenute nel loro insieme, non certo se frammentate», rimarca Delbello paventando uno smantellamento che ne farebbe perdere il valore testimoniale. Valore del resto testimoniato anche nel Centro raccolta profughi di Padriciano, dove alcuni oggetti sono andati per la mostra permanente del Museo allestita fin dal 2004 dall'Unione degli Istriani, mentre altri si trovano nel Museo di via Torino in attesa di apertura.
Il futuro delle masserizie del Magazzino 18? L’Irci, conferma la presidente dell’Istituto Chiara Vigini, spera che le masserizie restino in Porto Vecchio. «Basterebbe una piccola parte del Magazzino 26», rimarca Delbello, da trasformare in mostra permanente: «Sarebbe peraltro un frammento di storia del Porto Vecchio». L’Istituto del resto, aggiunge Vigini, «negli anni passati non ha mai preso in considerazione il tema masserizie: la priorità era l’apertura del Museo di via Torino, anche perché l’Irci è nato per sviluppare più in generale il tema della civiltà istriana-fiumano-dalmata, non precipuamente quello dell’esodo. L’Irci potrebbe farsi forza con le associazioni degli esuli per risolvere un nodo che è specifico di questa porzione di storia».
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