Morì sotto i ferri, a giudizio l’equipe medica

Il decesso dello staranzanese Franco Geromet. Imputati due chirurghi e l’infermiera strumentista. Processo il 3 maggio
Di Laura Borsani

Rinviati a giudizio, dal Tribunale di Trieste, i tre componenti dell’equipe del reparto di Cardiochirurgia dell’ospedale di Cattinara, in relazione alla morte del 48enne Franco Geromet, originario di Staranzano. L’uomo il 18 agosto 2014, sottoposto ad un intervento di bypass aortocoronarico, era deceduto in seguito ad un edema cerebrale, un edema polmonare acuto e un’acuta ipossia secondaria. A processo Elisabetta Rauber, primo chirurgo, Alessandro Moncada, secondo chirurgo, e l’infermiera strumentista Elena Maghet. L’ipotesi di accusa quella è di omicidio colposo dovuto a «negligenza, imprudenza e imperizia» avendo «causato o comunque non impedito il decesso» del paziente. Alla base delle contestazioni, c’è lo scambio delle cannule collegate ai tubi della macchina cuore-polmoni per la circolazione extracorporea, con l’inversione pertanto dei flussi ematici arterioso e venoso. Il processo è stato fissato per il prossimo 3 maggio, davanti al giudice Francesco Antoni.

È quanto è scaturito dall’udienza preliminare, l’altro ieri, davanti al Gup Giorgio Nicoli. Quel 18 agosto del 2014 l’uomo, accolto in sala operatoria per un intervento ordinario e programmato, morì prima di iniziare l’operazione a cuore aperto. All’udienza preliminare, l’altro ieri, era presente anche la moglie di Geromet, Luana Miani, 48 anni, affiancata dal legale di fiducia, avvocato Emanuele Locatelli. I legali difensori sono Claudio Vergine e Riccardo Seibold in rappresentanza di Elisabetta Rauber, Alfredo Antonini per Alessandro Moncada, Luca Maria Ferrucci e Lorella Marincich a sostenere Elena Maghet. Quella dell’altro ieri è stata una lunga udienza preliminare, iniziata alle 15.30 e protrattasi fino alle 19.30. In aula sono state sollevate due questioni preliminari da parte dei difensori di alcuni imputati. È stata richiesta al giudice l’esclusione dal procedimento penale di Luana Miani, sostenendo l’impossibilità di costituirsi parte civile in virtù del procedimento civile già avviato nei confronti dell’Azienda ospedaliera. Inoltre è stato evidenziato che il capo di imputazione non abbia una formulazione sufficientemente precisa sotto alcuni aspetti.

Il giudice Nicoli non ha accolto le obiezioni sollevate dai legali difensori. Con ciò pertanto ammettendo Luana Miani alla costituzione di parte civile. Ascoltate le conclusioni delle parti, il Gup ha quindi accolto la richiesta di rinvio a giudizio del pubblico ministero Matteo Tripani, e con essa la relativa imputazione a carico degli imputati.

La conclusione delle indagini preliminari risale al 3 febbraio dello scorso anno, a firma del Pubblico ministero Matteo Tripani, della Procura di Trieste. Il 3 maggio, dunque, si aprirà il procedimento per far luce in dibattimento su quanto accaduto. Il 18 agosto 2014 Franco Geromet fu ricoverato al reparto di Cardiochirurgia del Cattinara per affrontare l’intervento di bypass aortocoronarico. Si procedette alla fase propedeutica dell’operazione a cuore aperto con la predisposizione della circolazione extracorporea mediante l’attivazione della macchina cuore-polmoni. Ma all’avvio del sistema “extracircolatorio”, alle 17.07 del pomeriggio, i flussi ematici risultarono invertiti, con il circuito venoso che invece di drenare il sangue per l’ossigenazione lo pompava, mentre quello arterioso, viceversa, aspirava anzichè spingere il sangue reossigenato, è stato spiegato dalla pubblica accusa. Il decesso è avvenuto alle 17.47. Il Pm ha fatto riferimento ad «una progressiva e rapida desaturazione cerebrale che ha provocato il decesso, attribuito ad edema cerebrale ed edema polmonare acuto secondari, a sofferenza ischemica ed ipossica acuta dei vari parenchimi». Insomma, una situazione irrecuperabile.

In particolare, la strumentista viene chiamata in causa perchè nel tagliare il filtro del circuito posto tra la linea arteriosa e la linea venosa, aveva rimosso i markers colorati, blu e rosso, indicanti i flussi venoso e arterioso «e non posizionava altri indicatori per il riconoscimento immediato delle linee», appoggiando i tubi sulle gambe del paziente. Il tutto passando i tubi al chirurgo Rauber a sequenza invertita. A carico dei due chirurghi, la pubblica accusa contesta il fatto di aver «omesso di verificare la corrispondenza delle linee arteriose e venose alle relative cannule». Una verifica, per il Pm, «doveva considerarsi doverosa e comunque imposta da regole di comune prudenza e diligenza».

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