Morta Renata, la madre di Stefano Furlan Riposerà con il figlio nel cimitero di Ronchi

Dopo averlo perso in circostanze tragiche nel 1984 nel post derby Triestina-Udinese, si era battuta per avere giustizia 
Luca Perrino

la storia



Madre e figlio di nuovo assieme. Renata Furlan, 88 anni, che da tempo risiedeva a Ronchi dei Legionari, si è spenta nei giorni scorsi. Domani, alle 10, le sue ceneri saranno traslate nel cimitero comunale di via D’Annunzio a Ronchi. Dove riposa anche il figlio Stefano. La mamma lo aveva voluto vicino a sé, qualche anno fa, per deporre sulla sua tomba un fiore, per pregare, per sussurrargli qualche parola dolce. Il triestino Stefano Furlan era morto in circostanze tragiche il primo marzo del 1984, in seguito ai fatti accaduti al termine della partita di calcio Triestina-Udinese, derby di Coppa Italia giocato allo stadio Grezar.

Renata ha resistito a quel dolore, senza mai dimenticare il figlio a cui teneva tanto. Anzi, lottando e ricordandolo sempre. Un legame indissolubile. Non a caso il necrologio di Renata Furlan, a cui ieri mattina è stato dato l’ultimo saluto in forma privata nella cappella di Monfalcone, è stato accompagnato dalla frase “Si è ricongiunta al suo caro Stefano”. Domani verrà accompagnata nel suo ultimo viaggio sempre in forma privata dai nipoti Luisa, Nicoletta, Fulvio e Franco che le sono stati vicini. Ma ci sarà anche Stefano, proprio come voleva lei.

Mamma Renata aveva gli occhi neri e tristi. Eppure nel suo sguardo c’era una luce. «Quando la sera per cena mi siedo a tavola apparecchio anche per lui», rispose sicura a Valmaura sotto quel muro maledetto dello stadio Grezar, il giorno della posa di una targa in memoria di suo figlio, a cui è dedicata anche la curva dello stadio Nereo Rocco. Ora, dopo 38 anni, quella madre potrà riabbracciare il suo amato Stefano che oggi avrebbe 56 anni e probabilmente un lavoro da geometra. Il mestiere che aveva imparato a scuola.

Una vita virtuale, purtroppo, quella reale è finita a vent’anni il primo marzo 1984, dopo venti giorni di agonia, per i colpi alla testa inferti da un allievo di polizia al termine del derby Triestina-Udinese. Nel parapiglia del dopo-partita fra tifosi friulani e triestini. Era l’8 febbraio la data di quella maledetta partita. Stefano stava rincasando. La sua sfortuna fu quella di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Tre agenti di polizia si accorsero di lui, lo raggiunsero e lo fermarono in modo a dir poco brusco. Si legge, sui giornali dell’epoca, che fu anche afferrato per i capelli e bloccato contro un muro. Venne arrestato e condotto in Questura per accertamenti.

Verrà rilasciato la sera stessa. Rincasò e raccontò l’accaduto alla mamma. La mattina seguente, non sentendosi molto bene, preferì restare a casa. Nel pomeriggio le sue condizioni peggiorarono tanto da rendere necessario il ricovero all’ospedale Maggiore. Poco dopo esser giunto al nosocomio triestino entrò in coma e da lì iniziò una lunga agonia: Stefano Furlan morì dopo 20 giorni.

Da allora la signora Renata iniziò una lunga battaglia legale per chiedere che fosse fatta giustizia nei confronti di suo figlio. Tre testimoni riconobbero il poliziotto che lo aveva colpito. Nel novembre 1985 uno degli agenti venne condannato a un anno di reclusione con i benefici per eccesso colposo e venne disposto un risarcimento danni a carico del ministero dell’Interno.

Oggi di quel ragazzo, al quale è intitolata la curva dello stadio Rocco, resta una foto con i capelli ricci neri e quella palpebra dell’occhio sinistro abbassata. Un’immagine utilizzata anche per realizzare il murales a Valmaura, dove sorgeva il vecchio stadio Grezar soppiantato da quello nuovo, ma anche da una madre che in tutti questi anni se l’è tenuta stretta. Quell’immagine è stata usata sulla tomba del figlio, che ora riposa assieme a lei. Fianco a fianco. —



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