Multa di 1167 euro a un pescivendolo per aver scritto ”sardoni” sui cartelloni

Sui cartelli che indicano il prezzo al chilo del pesce non troveremo più scritto sardoni, bensì alici. Pena una multa salata per il pescivendolo se non scriverài nomi in italiano. Come accaduto  alla rivendita ambulante di piazza Ponterosso alla quale la Capitaneria di Porto ha comminato una sanzione di 1.167
Sui cartelli che indicano il prezzo al chilo del pesce non troveremo più scritto sardoni, bensì alici. E così anche per nostrano ribone che diventa pagello fragolino, il guato che si trasforma in ghiozzo, i girai i zatterini e l’asià niente di meno che palombo cane. Pena una multa salata per il pescivendolo se non scriverài nomi in italiano. Lo sa bene la rivendita ambulante di piazza Ponterosso alla quale la Capitaneria di Porto ha comminato una sanzione di 1.167 euro a causa dell’esposizione di cartelli con i soli termini dialettali sardoni e caperozzoli, mentre la dicitura corretta per il ministero è alici e vongole.


«Quel giorno – ammette Guido Doz, presidente regionale di Agci pesca e titolare con fratello Michele della rivendita – abbiamo preparato in velocità il banco e abbiamo sbagliato perché la normativa ci obbliga ad usare per le indicazioni commerciali i nomi dei pesci in lingua italiana. Però la tolleranza da parte della Capitaneria è pari a zero».


«La fiscalità che c’è a Trieste non c’è in nessun altra città, – sostiene Mario Bussani, presidente della Federazione italiana maricoltori Ong – non esiste in tutta Italia una contestazione per l’utilizzo del nome locale di un pesce». Ed ecco così che sui banchi delle pescherie lo sparo è diventato sarago sparaglione, i moli sono i merlani e le schile sono i gamberi di laguna. «E’ una norma a tutela del consumatore,– precisa Felice Tedone, vice comandante della Capitaneria di Porto – è più onesto scrivere il nome in italiano in quanto garantisce la chiarezza delle indicazioni anche all’acquirente non triestino. E poi non è vero che siamo così fiscali – sottolinea - ai rivenditori costa poco scrivere il termine corretto e nessuno vieta di riportare tra parentesi anche il termine locale». Intanto i 1.167 euro di multa sono stati pagati.


«Ho scritto una lettera agli organi competenti – spiega Doz - affinché nella lista da usare vengano incluse anche le denominazioni usate a livello locale e regionale. In fondo, – suggerisce – se il fine è quello di tutelare il consumatore il termine sardone per i triestini è più chiaro di alice”. Facendo un rapido giro tra i banchi delle pescherie si nota un rispetto non indifferente per la normativa. «Scrivo sepiole invece che zottoli, – precisa Alessandro Carbone della pescheria di via Coroneo – cozze e non pedoci” o cefalo al posto di szievolo. Risolvo mettendo il nome locale tra virgolette però nessuno mi può vietare di pubblicizzare che nella mia pescheria si trovano “sardoni barcolani” o “riboni”. Questo senza indicare il prezzo, ma solo avvertendo la clientela che nella mia rivendita in quella determinata giornata si trova quel tipo di pesce».


Succede ancche che qualche acquirente chieda chiarimenti: “La me scusi? Ma el “ghiotto” che pese xe? Tipo “guato”? – domanda una signora al pescivendolo leggendo perplessa i cartellini apposti accanto ai pesci. «Così per tutelare un milanese facciamo torto alla nostra vecchietta che mi chiede chi è “alice” o cosa è un “merlano” – tuona Bussani – ma la Capitaneria è l’ultimo anello della catena, a loro va contestata solo la fiscalità nell’applicazione. Il vero colpevole di questa buffonata è la commissione che ha partorito una lista lontana dalle esigenze dei consumatori e che non contempla il nome in vernacolo delle regioni dell’Alto Adriatico». «La legge vuole così – commenta Sergio Grassilli dalla sua pescheria di via Carducci – ma i clienti fanno confusione. Folpo diventa Polpo e così via».


Laura Tonero

Riproduzione riservata © Il Piccolo