'Ndrangheta, il boss Cortese catturato al confine di Fernetti
Antonio Cortese, 48 anni, è stato bloccato dalla polizia al confine con la Slovenia mentre rientrava in Italia dalla Romania. Secondo il legale tornava per costituirsi. Il boss Lo Giudice l’ha indicato quale esecutore degli attentati contro la Procura di Reggio Calabria

L'arresto di Antonio Cortese
TRIESTE
«Ispettore, non sono io quello che cercate. Vi sbagliate». Queste parole sono state pronunciate ieri alle 8.30 da uno dei tanti passeggeri di un bus della Atassid giunto al valico di Fernetti proveniente dalla Romania. A dirle è stato un uomo piccolo e tarchiato e con la coppola calata sulla testa. Fino a pochi secondi prima stava parlando al cellulare.
Da mezzogiorno quell’uomo è rinchiuso nel carcere di Trieste. Si chiama Antonio Cortese, 48 anni. È l’armiere della ’nrangheta, indicato dal boss Antonino Lo Giudice quale esecutore materiale degli attentati contro i magistrati di Reggio Calabria. È l’uomo che per intimidire il procuratore di Reggio Calabria, secondo i magistrati di quella città, gli ha lasciato un bazooka davanti al palazzo di giustizia. È l’uomo che ha fornito armi ed esplosivi per innumerevoli attentati tra cui quello al procuratore generale reggino Salvatore Di Landro.
È stato arrestato ieri mattina dai poliziotti della squadra mobile di Trieste e di Reggio assieme agli uomimi della polizia di frontiera. Lo aspettavano da 12 ore, dall’altra sera, quando era giunta in questura un’informativa da Reggio Calabria. Si sapeva che Cortese stava arrivando dalla Romania. Lì era fuggito una decina di giorni fa e si era nascosto in attesa di tempi migliori per rientrare in Italia. Ma nessuno poteva sapere con che mezzo e a che ora sarebbe passato attraverso il confine.
Chi mai avrebbe controllato un bus di emigranti che tornavano al lavoro in Italia? Per rientrare a Reggio Calabria, Cortese non aveva scelto l’aereo e nemmeno il treno oppure l’auto guidata da un ”picciotto”. Troppo pericoloso. Il boss aveva preferito confondersi tra badanti e muratori preferendo così un viaggio massacrante in pullman per trenta ore tra Ungheria e Slovenia fino al sud dell’Italia.
L’altra notte a presidiare Fernetti, ma anche gli altri confini della provincia, c’erano una settantina di agenti triestini. Ma anche uomini della mobile giunti l’altra sera da Reggio Calabria e quelli delle squadre speciali. Con pazienza certosina i poliziotti hanno ispezionato una ad una una, una trentina di autocorriere rumene. A tutti i viaggiatori sono stati chiesti i documenti.
Alle 8.20 è arrivata l’ultima corriera proveniente da Jasi e un ispettore della squadra mobile si è avvicinato a quell’uomo tarchiato con la coppola seduto in fondo al bus. Aveva un telefonino all’orecchio e parlava a voce bassa. Era lui, il boss. Aveva in tasca sei schede sim, quattro italiane e due romene, e nella borsa un computer con la chiavetta. Nel borsone in similpelle sistemato sulla cappelliera sopra il sedile c’erano pure qualche camicia e una bustina da toilette.
Nei giorni scorsi da Reggio Calabria erano riusciti a individuare Cortese fino a intercettare le sue conversazioni: si era tradito chiamando la sua famiglia. Le scie del telefonino portavano fino in Romania.
Ma arrivare fino al boss non è stato semplice. «Non è stato facile individuarlo», dice con evidente soddisfazione il responsabile della polizia di Frontiera, Manuela De Giorgi. «Non possiamo escludere che sia andato in Romania per riorganizzare la sua organizzazione. Forse anche per acquistare armi da mandare in Calabria», puntualizza Leonardo Boido, responsabile della sezione criminalità organizzata di Trieste, ipotizzando le indagini che da oggi si svilupperanno.
Ma Giuseppe Nardò, l’avvocato del boss è di parere diverso. Già nei giorni scorsi - racconta - i familiari di Cortese avevano preso contatto con la squadra mobile di Reggio Calabria ed io stesso avevo preavvertito la Procura distrettuale, nella persona del sostituto Giuseppe Lombardo, dell'intenzione del mio assistito di presentarsi nella mattinata di venerdì 22 prossimo agli organi inquirenti». Secco il capo della squadra mobile Mario Bo: «Sappiamo solo che stava rientrando. Ma non sappiamo per fare cosa...».
Il ricercato è stato accompagnato in questura e quindi in carcere, al Coroneo dove è rinchiuso in regime di isolamento. Sarà interrogato domani per rogatoria dal pm della Dda Pietro Montrone.
La notizia dell’arresto del boss si è diffusa rapidamente in tutta Italia. Il ministro Roberto Maroni si è congratulato con il capo della Polizia e direttore generale del Dipartimento di Pubblica sicurezza, Antonio Manganelli, per l'arresto del boss: «È un'ottima notizia - ha detto- e dimostra che in Calabria lo Stato c'è e risponde in maniera tempestiva all'aggressione della 'ndrangheta». «Il positivo esito dell'operazione testimonia l'attenzione posta dal governo sul contrasto alla criminalità organizzata su tutto il territorio nazionale», ha commentato il presidente del Friuli Venezia Giulia, Renzo Tondo. «Abbiamo spesso sostenuto - ha poi spiegato - che è necessario contrastare preventivamente la grande criminalità anche sul territorio del Friuli Venezia Giulia».
«Dopo il vile attentato al procuratore Di Landro, avevo definito la 'ndrangheta una bestia ferita e in difficoltà. L'arresto dell'esecutore di quegli attentati è un ulteriore colpo inferto a quella bestia», ha affermato il ministro della Giustizia Angelino Alfano.
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