Non si cerca Dio in un laboratorio
A proposito del nuovo libro di Margherita Hack, «Il mio infinito. Dio, la vita e l’universo nelle riflessioni di una scienziata atea», di cui il Piccolo del 23 aprile scorso ha voluto darci un’anticipazione, mi si permettano alcuni rilievi sul metodo adottato dall’autrice.
La celebre astrofisica triestina afferma che la scienza «non spiega, né potrà mai spiegare perché c’è l’universo, perché c’è la vita»: sono messi così in rilievo i limiti del metodo scientifico sperimentale, che pure ha il grande merito di scoprire le leggi che governano l’universo. Esso tuttavia non è in grado di offrire una risposta di senso, a cui sopperisce la fede nelle varie manifestazioni religiose, marxianamente intese dalla Hack come centri di potere dominati da caste sacerdotali autonominatesi intermediarie fra la divinità e gli uomini e impegnate a dettare norme che riflettono idee e ossessioni, come quella del sesso. Considerare la complessa fenomenologia religiosa in queste poche righe liquidatorie e approssimative, scaturite da una precomprensione ideologica di dichiarato ateismo, che inquina la serietà dell’analisi e ignora gli esiti di una sterminata bibliografia al riguardo, per chi è avvezzo a una rigorosa metodologia scientifica, appare la parte più fragile e discutibile dell’articolo in questione. È un giudizio grossolano e generico che non compete a chi fa professione di scienza; e allo stesso modo ognuno vede che non è possibile associare la pratica aberrante delle «mutilazioni sessuali femminili» al «dogma cattolico della verginità di Maria» tra gli esempi di sessuofobia indotta dalle religioni. È sempre valido l’assioma che recita: «qui bene distinguit bene docet». Se poi dalle varie fedi sono esplose anche le guerre di religione, questo è da imputare alla insipienza degli uomini, pronti a strumentalizzare per fini ignobili e distruttivi anche le migliori energie. Cercare risposte di senso a cui le scienze dure non sono abilitate non pare sintomo di infantilismo, bensì insopprimibile anelito dell’uomo di sempre, dotato di un’intelligenza che sa indagare non solo attraverso il metodo sperimentale, ovviamente non applicabile alle scienze morali. Invano cercheremmo Dio nello spazio o in un laboratorio scientifico, a meno di non riconoscere la sua orma nelle leggi che governano il micro e il macro-cosmo e nella legge morale dettata dalla coscienza a guida delle azioni umane. L’articolo si conclude con l’indicazione di due ipotesi «diametralmente opposte», ma per la Hack «perfettamente equivalenti»: l’ipotesi creazionista dei credenti che postula un atto di volontà animatore della materia e l’ipotesi dei non credenti che suppongono una materia elementare capace «di aggregarsi a formare atomi e molecole, stelle e pianeti, ed essere viventi». L’Autrice riconosce che sono entrambe ipotesi non dimostrabili col metodo galileiano, anche se la sua opzione è aprioristicamente a favore della seconda, tanto da aver condizionato l’articolista che forse troppo sbrigativamente rileva nel titolo come dato ormai definitivamente assodato un «infinito senza Dio».
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