Non violentò l’infermiera Datore di lavoro assolto

Articolo 530, comma 2, del Codice di procedura penale. Un “freddo” riferimento normativo, in attesa delle motivazioni, previste entro 90 giorni, ha accompagnato l’altro pomeriggio in un’aula di Foro...
Foto BRUNI TRieste 24.10.2011 Processo Ballaman-Giudice Filippo Gulotta
Foto BRUNI TRieste 24.10.2011 Processo Ballaman-Giudice Filippo Gulotta

Articolo 530, comma 2, del Codice di procedura penale. Un “freddo” riferimento normativo, in attesa delle motivazioni, previste entro 90 giorni, ha accompagnato l’altro pomeriggio in un’aula di Foro Ulpiano la lettura del dispositivo di sentenza con cui il collegio del Tribunale presieduto dal giudice Filippo Gulotta (giudici a latere Francesco Antoni e Giorgio Nicoli) ha assolto il gestore di una casa di riposo accusato da una sua ex dipendente di violenza sessuale. Si tratta di Michele Spangaro, finito per l’appunto alla sbarra e ora uscitone pulito per un episodio fatto risalire all’aprile del 2010 e riferito dalla sua presunta vittima. La donna aveva denunciato di esser stata trascinata in uno dei bagni della residenza per anziani “La primula” di via Cellini proprio da Spangaro, contitolare assieme alla madre della struttura in cui lei faceva l’infermiera, il quale poi si sarebbe levato i pantaloni e avrebbe tentato di fare altrettanto con quelli della sua dipendente. Un incontro “ravvicinato” che - sempre secondo la testimonianza della donna - sarebbe arrivato a chiusura di una serie di tentativi espliciti di corteggiamento, non corrisposti e sconfinati a volte in mani “morte”. Tutte circostanze negate dall’imputato.

Alla fine del processo, come detto, il collegio di primo grado ha giudicato Spangaro non colpevole, accogliendo le richieste fatte dal suo difensore, l’avvocato Luciano Sampietro, che ne aveva chiesto l’assoluzione «perché il fatto non sussiste», a fronte dei quattro anni di reclusione reclamati invece dal pm Lucia Baldovin. Resta ad ogni modo, sulla trama, l’ombra del dubbio, per la parola della presunta vittima contro quella dell’altrettanto presunto aggressore. Il comma 2 dell’articolo 530, in effetti, recita che «il giudice pronuncia sentenza di assoluzione anche quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussiste, che l’imputato lo ha commesso, che il fatto costituisce reato o che il reato è stato commesso da persona imputabile». La vecchia “insufficienza di prove”, sintetizza l’avvocato Gianfranco Grisonich, il legale di parte civile per conto della donna, che si riserva di leggere le motivazioni prima di valutare ogni ipotesi di impugnazione della sentenza di assoluzione. O una formula, obietta a sua volta l’avvocato Sampietro per Spangaro, utilizzata dai giudici per evitare d’incriminare la controparte per calunnia, per non calcare la mano contro una persona - così sostiene sempre il difensore dell’imputato - che nel corso del procedimento si sarebbe contraddetta più volte.

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