Omicidio Novacco. «C’ero ma non ho fatto nulla»

TRIESTE. «Non ho fatto nulla. Ero lì nella stanza di via Gemona, ma non l’ho ammazzato».
Giuseppe Console, 24 anni, si è chiamato fuori dall’omicidio di Giovanni Novacco e ha addossato indirettamente ogni responsabilità ad Alessandro Cavalli, ”Tex” per gli amici di Roiano, invalido al 67 per cento e con gravi problemi di movimento a un braccio. Il giovane che aveva scelto su Facebook il “nickname” Beppe Riina per rimarcare la sua ammirazione per il “boss dei boss” della mafia, e che nel suo profilo aveva scritto «La mia vendetta sarà inesorabile se non saprò dominarmi», è uscito dall’interrogatorio di garanzia svoltosi nel Tribunale di Paola, in Calabria, piangendo calde lacrime. Ieri, a sei giorni dal delitto, il profilo Facebook che Console aveva creato con nome di Riina è stato disattivato. Non lo si vede più.
«Sono ammalato, voglio curarmi in una struttura sanitaria adeguata», aveva sostenuto poco prima davanti al gip Carmine De Rose che ha convalidato il fermo. Accanto a lui l’avvocato calabrese Achille Tenuta, il quarto legale che formalmente ne ha assunto la difesa in un tourbillon durato poche ore. Lunedì sera aveva rinunciato al mandato l’avvocato Maria Genovese per la chiara incompatibilità con la difesa di Alessandro Cavalli. Poi erano subentrati prima uno, poi un altro legale, l’ultimo dei quali inesistente. Giuseppe Console si era infatti inventato di sana pianta un nome e la cancelleria della Procura lo ha cercato affannosamente per ore, negli albi dei vari Ordini provinciali degli avvocati. Perché l’arrestato si sia comportato in questo modo non è chiaro, forse sta recitando una parte pensando di poter usufruire dello sconto di pena che la legge concede agli imputati i mentalmente instabili.
Giuseppe Console ha parlato per un’ora e mezza, ricostruendo passo passo le 12 ore del sequestro e dell’omicidio di Giovanni Novacco. «Ha chiarito i fatti dal suo punto di vista», ha sottolineato nel pomeriggio l’avvocato Achille Tenuta. Balza agli occhi la totale diversità degli atteggiamenti tenuti dai due protagonisti. Alessandro Cavalli lunedì mattina si è avvalso della facoltà di non rispondere e ha nervosamente riso in faccia al pm Massimo De Bortoli, il titolare dell’inchiesta. Console al contrario è uscito dall’interrogatorio dopo aver addossato le responsabilità materiale dell’aggressione all’ex amico. In altri termini: «Ero presente in via Gemona ma non ho né picchiato né infierito su Giovanni Novacco».
Dal momento che la terza persona coinvolta in questo episodio come supertestimone dice di essersi allontanata prima che iniziasse il pestaggio, nella casa al terzo piano erano presenti solo i due arrestati. E se Console dice al giudice di non aver mai alzato le mani, evidentemente getta questa accusa sul compagno che finora ha scelto di tacere e ci ha anche riso sopra. Certo è che Console, come un vero boss, potrebbe aver minacciato “Tex” Cavalli: «Esegui i miei ordini, altrimenti è peggio anche per te». Cavalli non può non aver eseguito quanto gli era stato intimato: non aveva la possibilità né mentale, né fisica, di opporsi al suo capo da tempo riconosciuto tale da un gruppo di cinque o sei ragazzi che gravitavano attorno alla banda che aveva il proprio covo nello stabile abbandonato di via Gemona e che si incontravano a Roiano, sulle panchine vicino al supermercato Pam.
«Dobbiamo completare gli accertamenti», aveva detto due giorni fa il pm Massimo De Bortoli che ieri ha disposto il sequestro del computer di Giuseppe Console. Nella memoria del pc potrebbero essere conservate informazioni preziose sui rapporti e sulla gerarchia del gruppo di “Beppe Riina”.
Gli investigatori della Mobile, diretti da Leonardo Boido, stanno esaminando i tabulati dei telefoni cellulari dei protagonisti e dei comprimari della vicenda. In dettaglio, sono finite sotto osservazione le chiamate e gli sms passati in quelle 12 ore attraverso le “celle” che coprono via Gemona. Consultando i tabulati gli inquirenti potrebbero trovare conferma con nome e cognome delle presenze durante il sequestro finito tragicamente. Anche l’esame del Dna, così come quello delle impronte delle scarpe lasciate sul pavimento delle stanze degli orrori, consentirà una ricostruzione precisa. La benzina, l’alcol, la sedia, il bavaglio, il cordino con cui Giovanni Novacco è stato legato, costituiscono altrettanti “segni” la cui lettura metterà a fuoco gran parte dei dettagli. Servirà tempo per completare questi accertamenti, così come per interpretare i risultati dell’autopsia. Ma fin dalle prossime ore i dati certi dell’inchiesta verranno confrontati con quanto Giuseppe Console ha affermato ieri piangendo calde lacrime e chiedendo aiuto per il suo stato mentale a mille chilometri di distanza da Trieste, davanti a un giudice che non vedrà mai più.
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